Panthera leo leo: differenze tra le versioni
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|statocons_ref = <ref name="Black et al.2013">{{Cita pubblicazione|cognome1=Black |nome1=S. A. |cognome2=Fellous |nome2=A. |cognome3=Yamaguchi |nome3=N. |cognome4=Roberts |nome4=D. L. |anno=2013 |titolo=Examining the Extinction of the Barbary Lion and Its Implications for Felid Conservation |rivista=PLOS ONE |volume=8 |numero=4 |p=e60174 |doi=10.1371/journal.pone.0060174 |pmid=23573239 |pmc=3616087|bibcode=2013PLoSO...860174B}}</ref><ref name=iucn>{{Cita pubblicazione|autore=Bauer, H. |autore2=Packer, C. |autore3=Funston, P. F. |autore4=Henschel, P. |autore5=Nowell, K. |titolo=''Panthera leo'' |p=e.T15951A115130419 |anno=2016}}</ref>
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Il '''leone dell'
L'ultimo esemplare selvatico, di cui si abbia notizia, fu abbattuto nel 1942 in [[Marocco]], presso il passo montano di [[Tizi n'Tichka]], nell'[[Atlante (catena montuosa)|Atlante]] [[Marocco|marocchino]].<ref>''Harper'', 1945; ''Guggisberg'', 1961; ''Nowell e Jackson'', 1996; ''Van den Hoek, Ostende'' 1999; ''Yamaguchi e Haddane'', 2002.</ref> Si ritiene possibile che alcuni esemplari, di vario grado di ibridazione, sopravvivano ancora in cattività come nel caso dei leoni dello [[giardino zoologico|zoo]] di [[Témara]], una città marocchina nelle vicinanze di Rabat.<ref>''Leyhausen'' 1975; ''Yamaguchi e Haddane'', 2002.</ref> Un raro esemplare di leone berbero<ref>{{Cita web|url=https://www.panorama.it/foto/kosmos-museo-storia-naturale-pavia-foto?rebelltitem=1#rebelltitem1|titolo=Kosmos, il nuovo museo di storia naturale di Pavia}}</ref> tassidermizzato, preso nell'anno 1812, è conservato nel [[Museo di storia naturale dell'Università di Pavia|museo di Storia Naturale dell'Università di Pavia]]. È altresì presente un esemplare di leone berbero tassidermizzato al [[Museo di storia naturale Faraggiana Ferrandi|Museo di Storia Naturale Farraggiana di Novara]]. Sulla base di questa ipotesi sono stati creati progetti quali il ''North African Barbary Lion and the Atlas Lion Project'' (varato nel 1978) che studiano la possibilità di reintroduzione del leone berbero in natura tramite [[riproduzione selettiva]] degli esemplari in cattività.<ref name="Nabl">Yamaguchi, N. & Haddane, B. ''The North African Barbary lion and the Atlas Lion Project''. International Zoo News 49, pp. 465-481, 2002.</ref>
== Caratteristiche fisiche ed etologia ==
[[File:Leeuw.jpg|sinistra|miniatura|Leone berbero in un giardino zoologico]]
[[File:Male Lion, in a cage. Lincoln Park Zoo. 1900. (3405476354).jpg|miniatura|Leone berbero nel Lincoln Park Zoo nel 1900]]
Il leone dell'Atlante era per dimensioni la sottospecie più grande dopo il [[leone delle caverne]] e quello [[leone americano|americano]], diffusi, rispettivamente in [[Eurasia]] e in [[Americhe|America]], durante il [[Pleistocene]].
I maschi avevano un peso compreso tra i 272 e i 300 chilogrammi per una lunghezza media di 3,50 m;<ref>https://archive.org/stream/adventuresofgera00grrich#page/22/mode/2up</ref> dimensioni comparabili con la [[Panthera tigris altaica|tigre siberiana]]. Un leone dell'Atlante ucciso in Algeria nel 1840 era così pesante che tre uomini insieme non riuscirono a spostarlo<ref>http://images.yuku.com.s3.amazonaws.com/image/png/ca6de268276549359845a4bfe391ef57.png</ref>; Atlante, un leone proveniente dall'omonimo monte tenuto in cattività dal sovrano del Baroda (India) nel 1899 venne descritto come "molto superiore per dimensioni e coraggio ai leoni dalla criniera nera del Sud-Africa", "l'incarnazione del massimo potere e di muscoli adamantini" ed è scritto che appariva più possente del suo rivale, un enorme maschio di tigre del Bengala di nome Simla, con cui fu costretto a combattere. Lo scontro, comunque, vide poi trionfare la tigre. Maitland, un colonnello inglese che aveva cacciato a lungo in Sud-Africa, rimase scioccato alla vista di Atlante che descrisse come "un mostro, così grosso da poter uccidere un elefante e mangiarselo con le zanne e tutto".<ref>https://news.google.com/newspapers?id=A-MyAAAAIBAJ&sjid=1QAGAAAAIBAJ&pg=3641,6045584&dq=tiger+lion+fight+1899&hl=en</ref>
Un tratto caratteristico che ha reso famoso il leone dell'Atlante, oltre alle dimensioni, è la sua criniera. Aveva una criniera molto folta e di colore scuro (spesso nero) che ricopriva tutto il collo, il petto e scendeva per lo stomaco per arrivare fino all'inguine, quasi alle gambe. Solamente i [[leone del Capo|leoni del Capo]] e i [[leone asiatico|leoni asiatici]] erano noti per avere criniere tanto sviluppate. Prima che la biologia dei leoni fosse studiata con maggiore accuratezza, si è ritenuta che la folta criniera fosse una caratteristica distintiva della sottospecie. Si è scoperto in seguito che non è così. Lo sviluppo o meno della criniera di un leone è determinato da diversi fattori tra i quali il livello di testosterone e la temperatura ambientale. Qualsiasi sottospecie di leone può sviluppare una criniera più folta del normale se vive in condizioni ambientali fredde, come dimostrano i leoni tenuti in cattività in luoghi dal clima umido o freddo. Di conseguenza, se il leone dell'Atlante aveva una folta criniera, era solo perché viveva sulle montagne dove la temperatura è assai più bassa rispetto alle savane. Lo dimostra anche il fatto che, a giudicare dalle illustrazioni sui bassorilievi e sui vasi, i leoni che vivevano in Egitto pur appartenendo alla stessa sottospecie non presentavano una criniera così folta.<ref>Heptner, V. G., Sludskij, A. A. (1992) [1972]. "''Lion''". Mlekopitajuščie Sovetskogo Soiuza. Moskva: Vysšaia Škola [''Mammals of the Soviet Union''. Volume II, Part 2. ''Carnivora (Hyaenas and Cats)'']. Washington DC: Smithsonian Institution and the National Science Foundation. pp. 83–95.</ref>
In base agli studi di [[Filogenesi|filogenetica]] molecolare, l'antenato comune dei leoni africani e asiatici è vissuto tra i 200.000 e i 55.000 anni fa e quindi la separazione genetica tra le sottospecie africane è avvenuta in questo arco temporale ovvero tra la fine del [[Pleistocene|Pleistocene medio]] e l'inizio dell'ultima [[glaciazione]]. Il leone berbero come sottospecie distinta si è evoluto più recentemente, non più tardi di 100.000 anni fa.
L'areale del leone berbero era piuttosto ampio comprendendo tutta la fascia costiera settentrionale dell'[[Africa]] e, in particolare, il [[Maghreb]] dal [[Marocco]] alla [[Libia]]. In misura minore era diffuso anche in [[Egitto]].
La gran parte delle zone di caccia del leone dell'Atlante sono ora desertiche o semi-desertiche, ma tutta la [[Deserto del Sahara|regione sahariana]] ha subito nelle ultime centinaia di migliaia di anni delle intense [[paleoclimatologia|variazioni climatiche]]<ref>Kevin White and David J. Mattingly (2006), ''Ancient Lakes of the Sahara'', vol. 94, American Scientist, pp. pp.58-65.</ref> che hanno visto l'[[Periodo umido africano|alternarsi di fasi]] in cui la [[desertificazione]] era minore di quella attuale.
Si ritiene che lo stile di predazione fosse simile a quello degli altri [[Felidae|felidi]] (ovvero dopo aver preso tra le fauci il collo della vittima). Tra le prede abituali vi erano l'[[Ammotragus lervia|ammotrago]], il [[Cervus elaphus barbarus|cervo berbero]], l'[[Equus africanus|asino selvatico africano]], il [[cinghiale]], la [[giraffa]], il [[dromedario]] e diverse specie di [[antilope|antilopi]], [[gazzella|gazzelle]] e [[orice]]. Prima che si estinguesse, l'[[elefante nordafricano]] poteva essere una potenziale preda, particolarmente gli esemplari giovani (come succede con gli altri leoni ed elefanti nel centro-sud dell'Africa) ma occasionalmente anche gli adulti, visto che le cronache romane riportano che tali pachidermi erano più piccoli degli [[Elephas maximus|elefanti indiani]] (e quindi dei più noti e ancora viventi [[Loxodonta africana|elefanti africani della savana]])<ref>https://www.theguardian.com/notesandqueries/query/0,5753,-1775,00.html</ref> e quindi potenzialmente vulnerabili agli attacchi di un gruppo di leoni di grandi dimensioni. In Egitto, altra potenziale preda poteva essere l'[[ippopotamo]], anch'esso predato nelle altre zone dell'Africa dai leoni locali.
Per catturare questi animali il leone dell'Atlante doveva competere con l'[[Ursus arctos crowtheri|orso dell'Atlante]] e il [[Panthera pardus panthera|leopardo dell'Atlante]], che sono ugualmente scomparsi (il primo) o in via di estinzione (il secondo) dall'Africa settentrionale.
Al pari degli altri leoni, era un animale sociale che viveva in branchi composti da numerose femmine e i loro piccoli, custoditi dai maschi più grandi e più forti che avrebbero garantito la sicurezza del gruppo. Negli anni in cui la sottospecie si avviava verso l'estinzione, i leoni vennero avvistati in gruppi sempre più piccoli, spesso solitari o in coppia.
== Declino ed estinzione in natura ==
[[File:BarbaryLionB1898bw.jpg|thumb|Il leone berbero in una illustrazione del [[1898]].]]
A partire dalla metà del [[III millennio a.C.]], il [[Deserto del Sahara|Sahara]], fino ad allora occupato da una savana simile a quella dell'Africa orientale, cominciò ad assumere l'odierna conformazione. Insieme alle piante sparirono anche i grandi erbivori, e con loro i carnivori che li cacciavano. L'areale del leone berbero si ridusse progressivamente a tre zone distinte, separate dal deserto: la catena montuosa dell'Atlante e la [[Tripolitania]], il massiccio del [[Tassili n'Ajjer]] e la [[Nubia]].
Il primo luogo in cui l'animale si estinse fu il [[delta del Nilo]].
Il leone era considerato sacro alla dea [[Sekhmet]] e questo evitava la caccia indiscriminata (solo il faraone, ritenuto un dio, poteva cacciare i leoni). Anche altri popoli nordafricani lo consideravano un animale sacro per le sue forza e ferocia. A mano a mano che la loro civiltà si estendeva lungo il corso del fiume, i leoni arretravano.
Per tutto il [[Storia di Roma|periodo romano]], il leone nord-africano venne importato in migliaia di esemplari all'anno e utilizzato estensivamente nei combattimenti circensi contro altre fiere.
La vasta opera di cattura in epoca romana causò una prima drastica diminuzione nella popolazione. Dopo un periodo di ripresa a seguito della caduta dell'impero romano, l'espansione araba nel Nord Africa comportò un nuovo declino del leone.
Con l'aumento della presenza antropica e la riduzione dell'habitat, la scarsità delle prede spinse il leone dell'Atlante a spostare la sua attenzione verso gli animali domestici come [[Asino|asini]], [[Capra hircus|capre]] e [[Dromedario|dromedari]] contribuendo in questo modo alla sua persecuzione.
Con l'introduzione delle armi da fuoco, il leone berbero - oramai notevolmente ridotto - si estinse nel [[XVIII secolo]] in [[Libia]], e a metà del [[XIX secolo]] nella [[Nubia]] e nel [[Tassili]]. Nel 1891 scomparve dalla [[Tunisia]] e nel 1893 dall'[[Algeria]]. Oramai presente solo in aree ridotte del [[Marocco]], alcuni esemplari vennero rinchiusi nei giardini zoologici per evitare un'estinzione che già si avvertiva imminente.
Nel 1922, la Casa Reale del Marocco rinchiuse nel serraglio reale di Rabat un branco di leoni dell'Atlante, i cui discendenti furono ceduti nel 1973 al neocostituito zoo di Témara.
L'ultimo esemplare in libertà fu probabilmente il maschio abbattuto nel 1942, anche se avvistamenti non confermati si susseguirono per tutti gli anni quaranta. Secondo alcuni locali, il leone dell'Atlante avrebbe resistito addirittura fino agli anni sessanta quando fu definitivamente annientato dai bombardamenti durante la guerra tra Francia e Algeria.
== Reperti conservati ==
Un esemplare tassidermizzato di un giovane maschio, con la caratteristica criniera non ancora sviluppata, è esposto presso il [[Museo di storia naturale dell'Università di Pisa]]. La tassidermizzazione di questo reperto risale all'Ottocento e, curiosamente, presenta un "errore": infatti, malgrado i leoni abbiano le pupille rotonde, l'esemplare è stato preparato con occhi dalle pupille verticali (simili a quelle dei gatti).
== Possibili esemplari in cattività ==
[[File:Ljubljana (ZOO) - lev Boy (Panthera leo), 2005.jpg|thumb|upright=1.4|Un possibile esemplare di leone berbero in cattività.]]
Tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX secolo, molti esemplari di leoni dell'Atlante furono catturati per essere esibiti in [[giardino zoologico|giardini zoologici]] e [[Circo (spettacolo)|circhi]] itineranti.
Esemplari in cattività ritenuti purosangue furono il leone di nome ''Sultan'' che visse nello zoo di [[Londra]] fino al 1896, e i leoni dello zoo di [[Lipsia]] (''Edwards, 1996'').
Esemplari considerati apparentati con i leoni dell'Atlante sono quelli conservati nel giardino zoologico di Témara presso Rabat. Questi animali sono i diretti discendenti dei leoni del serraglio del [[sultano]] [[Mohammed V del Marocco]] che sono stati identificati recentemente come ibridi di leone berbero tramite l'analisi comparata del DNA mitocondriale con quella degli esemplari imbalsamati (''Barnett, 2006''). Tra il 1953 e il 1955, durante l'esilio del sovrano, diciotto leoni del serraglio furono trasferiti dal palazzo reale di Rabat a [[Meknès]] per poi ritornare a Rabat con il reinsediamento di Mohammed. Nel 1973 fu creato lo zoo di Témara a cui vennero ceduti tutti i leoni reali. Gli esemplari attuali sono entrati a far parte di un progetto di ripristino e reintroduzione della sottospecie.
Altri dodici leoni discendenti da quelli appartenuti al re marocchino si trovano al [[Port Lympne Wild Animal Park]], uno zoo inglese presso [[Ashford (Kent)|Ashford]], nel [[Kent]].
Degni di menzione sono altri undici esemplari dello zoo di [[Addis Abeba]] discendenti dai leoni del serraglio dell'imperatore etiope [[Haile Selassie I]]. Oltre a diversi circhi e al parco nazionale Kruger del [[Sudafrica]], altri giardini zoologici che affermano di possedere esemplari o ibridi della sottospecie sono: ''Big Cat Rescue'' di [[Tampa]] ([[Florida]]); lo zoo di [[Neuwied]] ([[Germania]]); lo zoo di [[Madrid]]; il ''Longleat Safari Park'' di [[Wiltshire]] ([[Inghilterra]]); ''Parc de la tête d'Or'' di [[Lione]]; gli ''Zion Wildlife Gardens'' (un parco in [[Nuova Zelanda]] contenente 4 specie di felidi a rischio di estinzione tra cui il leone berbero)
== Identificazione genetica della sottospecie ==
In passato si è ritenuto che le differenze nella [[morfologia (biologia)|morfologia]] della criniera potessero essere usate come tratto discriminante nella definizione di [[sottospecie]] del ''Panthera leo'', come il leone berbero. In seguito, venne dimostrato, tuttavia, che il colore e le dimensioni della criniera sono influenzate da numerosi fattori ambientali, come la [[temperatura]].<ref>P. M. West e C. Packer, ''Sexual Selection, Temperature, and the Lion's Mane''. In «Science» 297, pp. 1339/1343, [[2002]]</ref>. In particolare, le temperature fredde di alcuni [[Giardino zoologico|zoo]] europei e nordamericani contribuiscono allo sviluppo di grandi criniere.<ref name="Nabl" /><ref>R. Barnett, N. Yamaguchi, I. Barnes e A. Cooper, ''[http://www.springerlink.com/content/t55636224161vn37/ Lost Populations and Preserving Genetic Diversity in the Lion Panthera leo: Implications for Its Ex Situ Conservation]''. In «Conservation Genetics», 2006.</ref>
[[File:Panthera leo leo MUSE.jpg|thumb|left|Esemplare di leone berbero attualmente esposto al [[MUSE (museo)|MUSE]] di Trento]]
Nel 2005, è stata compiuta una analisi comparata del [[DNA mitocondriale]] su campioni di tessuto organico prelevati da 1 gatto domestico e 25 esemplari - viventi e imbalsamati - di tredici sottospecie diverse di tigre e leone (comprese le ossa fossili di due esemplari di ''[[Panthera leo spelaea]]''). La determinazione delle distanze genetiche delle sequenze di [[Citocromi|citocromo b]] (che è contenuto nel complesso [[ubiquinolo-citocromo c reduttasi]]) ha permesso di ricostruire l'albero filogenetico degli esemplari studiati e di distinguere cinque [[cladistica|macrocladi]]: tigri, leopardi, leoni delle caverne (''[[Panthera leo spelaea]]''), leoni sub-sahariani (''[[Panthera leo senegalensis]]''), e leoni berberi-asiatici (''[[Panthera leo persica]]'' e ''Panthera leo leo'') confermando la parentela genetica tra leone berbero e leone asiatico e la sua distanza da quello sub-sahariano (''Burger, 2006'').
La separazione tra il [[clade]] sub-sahariano e quello berbero-asiatico si è realizzata tra i 203.000 e 74.000 anni fa (''Burger et alii, 2004''); quella tra leone berbero e leone asiatico si stima ancora più recente, e conseguente alle variazioni climatiche e ambientali intervenute in Nord Africa nel corso dell'ultima [[Glaciazione Würm|glaciazione würmiana]] (''Burger, 2006''). Lo studio ha dimostrato che gli esemplari dello zoo di Neuwied sono particolarmente distanti a livello genetico dal leone sub-sahariano, e, di conseguenza, è molto probabile che possano essere discendenti del leone berbero per la linea di discendenza materna (''Burger, 2006'').
Un'altra analisi del DNA mitocondriale pubblicata nel 2006 supporta la tesi del leone berbero come sottospecie. I risultati evidenziano, infatti, la presenza di un identico [[aplotipo]] in alcuni esemplari imbalsamati ritenuti, secondo altre evidenze, discendenti del leone berbero. L'aplotipo potrebbe dunque fungere da marker molecolare per identificare - ed escludere - altri potenziali leoni berberi (''Barnett, 2006''). L'analisi mitocondriale effettuata su cinque campioni provenienti dagli esemplari della famosa collezione del re del Marocco, ne esclude, tuttavia, l'appartenenza alla sottospecie per la linea di discendenza materna (''Barnett, 2006'').
Studi filogenetici hanno condotto altri autori a semplificare ulteriormente la suddivisione cladistica proposta da Burger, riunendo tutti i leoni africani (''[[Panthera leo azandica|P. leo azandica]]'', ''[[Panthera leo bleyenberghi|P. leo bleyenberghi]]'', ''[[Panthera leo krugeri|P. leo krugeri]]'', ''P. leo leo'', ''[[Panthera leo nubica|P. leo nubica]]'', ''[[Panthera leo senegalensis|P. leo senegalensis]]''), nonostante le differenze [[morfologia (biologia)|morfologiche]] in funzione dell'[[areale]], in un'unica sottospecie a cui è stato assegnato il [[nome scientifico]] di ''"Panthera leo leo"'' e a cui viene affiancata la sola sottospecie asiatica, ''[[Panthera leo persica]] '' (''O'Brien et alii'', 1987 ; ''Dubach et alii'', 2005; ''Urban e West'', 2005).<ref>''[http://www.iucnredlist.org/apps/redlist/details/15951/0 Panthera Leo]'', IUCN 2010; ''[http://animaldiversity.ummz.umich.edu/site/accounts/information/Panthera_leo.html Panthera Leo]'', Animal Diversity Web, Università del Michigan.</ref> Questa classificazione tassonomica non è, tuttavia, pienamente accettata e altri autori contemporanei mantengono ancora la suddivisione tradizionale del leone africano in sei sottospecie (''Haas et alii'', 2005).<ref>''«In their review in Mammalian Species, Haas et al. (2005) recognized six African subspecies, although these were not subject to analysis»''. In ''[http://www.iucnredlist.org/apps/redlist/details/15951/0 Panthera Leo]'', IUCN 2010</ref>
== Progetti di reintroduzione ==
Secondo esperti come Nobuyuki Yamaguchi dell'[[Università di Oxford]], la popolarità avuta in passato dal leone berbero come animale da esposizione negli zoo offre concrete speranze di restaurazione della sottospecie tramite la [[riproduzione selettiva]] dei discendenti ancora presenti in cattività.
Una prima proposta di [[reintroduzione]] dei leoni in un nuovo parco ubicato nell'Atlante marocchino fu fatta già nel 1978, ma non ebbe seguito fino a quando non venne varato il ''North African Barbary Lion and the Atlas Lion Project'' sotto la direzione di Yamaguchi.<ref name="Nabl" />
L'ambizioso progetto era finanziato dall'associazione inglese WildLink International, in collaborazione con l'[[Università di Oxford]], ma è attualmente sospeso per mancanza di fondi dopo il ritiro dell'associazione.
Il progetto si dovrebbe articolare in tre fasi, delle quali solo la prima fase è stata parzialmente completata.
La prima fase è consistita nell'analisi del DNA dei campioni di [[osso]] prelevati dai leoni berberi [[Imbalsamazione|imbalsamati]] conservati in alcuni musei di storia naturale europei come quelli di [[Bruxelles]], [[Parigi]] e [[Torino]]. Lo scopo era quello di ottenere una [[filogenesi|mappa filogenetica]] che permettesse di identificare precisamente la sottospecie e determinare il grado di [[ibrido|ibridazione]] degli esemplari in cattività. Questa fase ha permesso a Yamaguchi di individuare degli ibridi di leone berbero tra gli esemplari dello zoo di Témara.
Nella seconda fase del progetto, gli individui con la maggiore affinità genetica alla sottospecie originale saranno incrociati in modo selettivo al fine di riottenere degli esemplari di leone berbero da reintrodurre (terza fase) in un parco naturale nelle montagne dell'Atlante.
Nonostante il ritiro di Wildlink International, Yamaguchi e il suo staff hanno deciso di proseguire per conto proprio creando l'associazione Preservation Station e stanno cercando i finanziamenti necessari.
Progetti simili, ma più indietro nello sviluppo, sono quelli dell'[[Università del Michigan]], diretto da Dan York, e quello dell'associazione italiana ''Asae-onlus'', diretto da Renato Mariani dell'[[Università di Chieti]].
== Note ==
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== Altri progetti ==
{{interprogetto
== Collegamenti esterni ==
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