Affare fatto
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“Affare fatto” di Peter Cheyney è un avvincente romanzo noir che combina azione, mistero e intrighi criminali. Al centro della storia troviamo Slim Callaghan, un investigatore privato astuto e senza scrupoli, che si muove tra ambienti eleganti e pericolosi per risolvere un caso complesso e rischioso. Con dialoghi taglienti, colpi di scena e una trama avvolgente, Cheyney trasporta i lettori in un mondo fatto di segreti, tradimenti e giustizia poco convenzionale. Un classico per gli appassionati di spy story.
Peter Cheyney
Peter Cheyney was a British writer best known for his authorship of hard-boiled detective fiction featuring the fictitious Lemmy Caution and Slim Callaghan. A police reporter and crime investigator by trade, Cheyney penned his first detective story on a bet. Novels like This Man is Dangerous, The Urgent Hangman, and Dames Don’t Care followed, and allowed Cheyney to pursue writing full-time. During his lifetime, Cheyney sold more than one million copies of his books, making him one of the most popular writers of his era. Cheyney died in 1951.
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Anteprima del libro
Affare fatto - Peter Cheyney
PERSONAGGI PRINCIPALI
LEMMY CAUTION: agente federale
CARLETTE, GERALDA, MONTANA: tre ragazze fuori serie
ELMER WHITAKER: inventore di un nuovo tipo di apparecchio da bombardamento.
WILLIE KRITSCH: bandito
LOUIS BAZZARD, FRISCO, ZOKKA: tirapiedi di Willie
HERRIK: ispettore di Scotland Yard
CAPITOLO PRIMO – LA BELLA SALVATA DALL’ACQUA
1
Vi è mai capitato di vedere un uomo che se ne va in giro come un tonto, senza curarsi del tempo e di ciò che avviene intorno a lui, con la faccia di chi è stato colpito sul muso da un ferro da stiro? Ebbene, un certo Confucio (uomo che sapeva il fatto suo) era solito dire che in tali circostanze, novantanove volte su cento si tratta di uno che sta smaltendo gli effetti della passione per una donna.
Mi figuro che Confucio, in quel momento, pensasse a me.
È buio pesto e piove; su in cielo odo il ronzío di un Heinkel. Ma io non sto troppo a preoccuparmene perché sono tutto preso dai pensiero di Carlette.
Questa ragazza ha tutte le bellezze di cui avete inteso parlare e qualcos’altro ancora. Per quel che mi riguarda, è la grazia personificata. Vi potrei riferire certi particolari circa la conformazione geografica di questa bellezza che vi lascerebbero a bocca aperta e v’indurrebbero a chiedervi come mai ve ne restate attaccati alla gonnella della donna con cui ve la intendete attualmente.
Non è molto alta, ma neppure piccola. E ha certe curve che non troverete mai in un testo di geometria. Ha due occhi azzurri fondi e misteriosi e, quando vi guarda, vi sentite correre i brividi lungo la spina dorsale e anche più giù. Io vi dico, fratelli, che, quando distribuirono il fascino alle donne, la mia bella si prese le porzioni di un’intera famiglia; giungerò persino ad affermare che, se si fosse trovata al posto di Eva nell’Eden, Adamo avrebbe scacciato il serpente e si sarebbe messo a cogliere le mele a cottimo!
Questa Carlette, poi, sa scegliersi i vestiti adatti e li sa portare anche se sono un po’ attillati. Inoltre, a ragion veduta (perché le sue gambe le ho viste ben bene andare su e giù per le scalette della nave) possiede un magnifico paio di gambe, ragion per cui, anche se fosse brutta come una strega, sapreste sempre dove posare lo sguardo ogni qual volta vi sentiste giù di morale.
Be’... ormai l’avete capito che ho preso una cotta per la ragazza. Seduto qua, sotto la pioggerella che ha trasformato le falde del mio cappello in grondaia, continuo a ricordare la sua voce dolce e carezzevole. E anche un po’ roca noi momenti passionali; non so se rendo l’idea.
Getto via la sigaretta bagnata e comincio a riflettere su due o tre maliarde che ho conosciuto ai miei tempi. Tutt’intorno a me ci sono uomini muniti di lampadine tascabili azzurrate, che aiutano i passeggeri a scendere dal Florida. Alcuni controllano i passaporti, altri esaminano i bagagli e tutti quanti cercano di assicurarsi che nessun passeggero, venendo qui, accresca i guai di cui già soffre il paese.
Pare che, nessuno se la prenda calda per l’Heinkel che vola lassù. Mi sembra che questi inglesi prendano tutto con filosofia; anche qualche bomba che quello potesse eventualmente mollare.
Dopo queste riflessioni torno a pensare a Carlette, sebbene senta in me una vocina che sussurra: «Stai in guardia, Lemmy: ogni volta che tu pensi troppo a una donna cominciano i tuoi guai!».
Forse vostra madre vi avrà detto che non conviene pensare troppo alle donne. Ebbene, date retta a me quando vi dico che la cara genitrice aveva ragione. Ad ogni modo, se volete evitare i patemi di cuore il rimedio c’è: basta pensare a diverse donne contemporaneamente.
Sono a questo punto delle mie riflessioni, quando un pezzo d’uomo che indossa un impermeabile nero si avvicina e mi fa:
— Sareste voi il signor Thaxby?
— L’avete imbroccata – gli rispondo. – Elmer T. Thaxby di Cold Springs, Colorado... Commesso viaggiatore in serrature e chiavistelli.
L’altro sorride.
— A chi lo dite, signor Caution! Su, tirate fuori i documenti!
Pesco nelle mie tasche la tessera d’agente, il passaporto intestato a Thaxby e altri due documenti che dimostrano come io sia proprio io. L’uomo osserva tutto, poi si presenta:
— Rapps... sergente della polizia di Southampton. Sono venuto qui per facilitarvi la visita doganale. Immagino che vorrete prendere il primo treno, no?
— Sì; e quando parte?
— Fra venti minuti. Alle nove e trenta.
— Sentite, amico – gli spiego. – C’è una signorina su questa nave, una certa Carlette Lariat, che m’interessa. Forse anche lei prenderà il treno delle nove e mezzo. Mi domando se non potreste fare in modo di mettere assieme i nostri bagagli, così da farci viaggiare nella medesima vettura.
Mi risponde che la cosa è facile, poi mi guarda con aria interrogativa.
— Non crediate che sia una mia collaboratrice – gli spiego, sorridendo. – Si tratta di un interessamento di carattere strettamente privato. Il servizio non c’entra per nulla.
Lui dice d’avermi capito e se la batte.
Mi siedo sopra una panchina umida e accendo un’altra sigaretta. Un po’ alla volta i miei occhi si vanno abituando al buio che regna intorno. Sono stato diverse volte in Inghilterra quando non c’era l’oscuramento; eppure anche stavolta, sebbene non ci si veda un bel niente. sono contento di trovarmici. Mi alzo e sto avviandomi verso l’ufficio doganale, quando qualcuno grida:
— Ehi, signor Thaxby!
Mi volto e riconosco il marconista del Florida. Si tratta di un bravo ragazzo con cui ho bevuto più d’una volta durante la traversata.
— Vi ho cercato dappertutto... – dice. – Mezz’ora fa è giunto un marconigramma, ma son dovuto rimanere nella mia cabina per servizio. Eccolo. Scusate il ritardo.
Apro la busta e leggo. Viene da Herrick, il funzionario della polizia inglese con cui ho lavorato nel caso Van Zelden nel 1936. Il messaggio dice:
«Penso che giungerete col treno che lascia Southampton alle nove e mezzo. Grant sarà ad aspettarvi alla stazione di Waterloo. Ci metteremo in contatto ben presto. In bocca al lupo, Thaxby.
Herrick»
Il marconista, Manders, è di Cincinnati. Lo ringrazio, dopo di che mi augura buon viaggio ed aggiunge: – Ricordatevi di stendervi a terra se vi buttano qualche bomba.
— State scuro che la schiverò – gli garantisco. – Quanto tempo si fermerà in porto, il Florida?
— Non saprei. Due o tre giorni non di più, credo. Be’, arrivederci.
Se ne sta andando, quando gli viene in mente qualcos’altro.
— Ehi, signor Thaxby, miss Lariat vi cercava...
— Davvero? E dov’è era?
— Era alla dogana – spiega. – Temeva di non fare in tempo per il treno delle nove e mezzo. – Poi mi scruta stringendo le labbra. – È una cosa strana – dice – che una signora tanto bella e fine ci sia cascata così. Ma già, più le signore sono riservate, e più se la prendono calda, se ci cascano!
— Oh, già – faccio – e chi sarebbe il fortunato?
Manders sogghigna e mi guarda in tralice.
— Ehi, amico, adesso non fate il tonto! Immagino che avrete ben compreso che miss Lariat spasima per voi!
Ho un alto concetto di me stesso, tuttavia cerco di fare il modesto.
— Ma neanche per idea! Se le ho appena parlato!
Manders inarca le sopracciglia.
— Forse voi siete uno di quei tipi che fanno colpo anche senza bisogno di parlare a una donna. Ad ogni modo vi assicuro che vi seguiva sempre con gli occhi quando passeggiavate sul ponte. Siete nato con la camicia, amico!
Gli do un colpetto nelle costole e faccio:
— Giovanotto, quando la smetterete di sfottermi?
Il marconista ride e scompare nell’oscurità. Intanto sto pensando che le cose si mettono bene per me. Anche se sono qui per una inchiesta piuttosto delicata, non vedo il motivo per cui non debba rallegrarmi all’idea di viaggiare fino a Londra in compagnia di una bella figliola. Dopo tutto un uomo ha bisogno di star su col morale, no?
Consulto il mio orologio e mi accorgo che sono le nove e dieci. Mi avvio agli uffici della dogana. Là vicino c’è l’agente di Southampton, Rapps, che mi rassicura:
— Tutto a posto, signor Thaxby. I vostri bagagli son passati assieme a quelli di miss Lariat. Ho una mezza idea che la ragazza vi stia aspettando. Buona notte e in bocca al lupo!
Oltrepasso la dogana e avanzo con circospezione perché c’è un buio concentrato e non vorrei fare un bagno fuori stagione. Sto guardandomi in giro, quando vedo riapparire il mio marconista.
— Ohilà! – esclama. – La bella vi aspetta sulla banchina. Se volete raggiungerla tenetevi sulla destra e non oltrepassate la barriera, altrimenti vi toccherà fare un giro più lungo, per via d’una bomba inesplosa.
Ringrazio per il gentile avvertimento e cammino verso la banchina. Ben presto scorgo Carlette che se ne sta appoggiata al muro. Posso vedere la punta del suo naso, al barlume roseo della sigaretta. Si è rialzata il bavero di pelliccia e, credetemi, sembra un’immagine di sogno, tanto è bella.
— Bene, bene – faccio – a quanto pare noi due prendiamo lo stesso treno. Così potrò dirvi una o due cose che mi stanno a cuore. – Mi guarda e sorride. È una di quelle donne che col sorriso dicono tutto.
— Che cosa avete da dirmi, signor Thaxby? – ribatte poi.
— Prima di tutto che siete l’ideale che ho sempre sognato. Mi piace il modo in cui camminate e sorridete. E perfino le vostre calze di seta mi piacciono. Non c’è neanche una smagliatura...
— Ah, avete esaminato perfino le mie calze!
— E perché no? – ribatto. – Quando m’interesso di una donna la osservo da capo a piedi. Ma, ora andiamo, dobbiamo sbrigarci se non vogliamo... perdere il treno!
C’incamminiamo lungo la banchina. Abbiamo fatto sì e no una decina di metri, quand’ecco spunta la luna e così, per un istante, possiamo guardarci in giro. Fra l’altro vediamo che a pochi passi c’è la sponda della banchina. Al di sotto s’intravede il mare. La luna lascia gocciolare sul mare il suo riflesso d’argento. Lo spettacolo incanta Carlette.
— Non è stupendo? – mormora posandomi una mano sul braccio. S’avvicina alla sponda di pietra e resta là a guardare. Rompo l’incanto e dico: – Ora che avete ammirato il riflesso della luna sull’acqua che ne direste di avviarci alla stazione?
— Sta bene – risponde.
Si volta e mentre fa così mette un piede in fallo e scivola. Odo un gemito e subito dopo il rumore di un corpo che cade in mare. Guardo giù e quando la poveretta torna a galla, è già lontana dalla banchina almeno due metri. Deve esserci una corrente piuttosto forte. Senza esitare un solo istante mi libero del soprabito, della giacca e delle scarpe e mi tuffo a capofitto. Accidenti, com’è fredda l’acqua!
Ritorno su e mi trovo a qualche metro Carlette. Vedo che cerca di nuotare, ma intanto beve, impacciata com’è dagli abiti. Con due bracciate le sono al fianco; cerco di rassicurarla: – Non abbiate paura. Mettetemi una mano sulla spalla e lasciate fare a me.
La risposta è una specie di singhiozzo gorgogliante.
— Sta bene – riesce a mormorare e capisco che s’è già rinfrancata.
Due minuti dopo siamo in salvo e ci scrolliamo l’acqua di dosso, come fanno i cani bagnati. Se prima faceva freddo, adesso, dopo il bagno, mi sembra di essere al Polo Nord.
— Sentite, Carlette – dico battendo i denti – dobbiamo cambiarci d’abito al più presto se non vogliamo buscarci una polmonite. Su, facciamo una corsettina, con un po’ di fortuna potremo almeno prendere il treno delle dieci e mezzo.
2
Siamo quasi arrivati alla stazione di Waterloo, quando arrischio una proposta:
— Che ne direste di un pranzetto insieme, stasera? Avrò parecchio da fare qui, ma forse, per una volta, potrei spassarmela un poco.
Mi guarda incredula.
— Ah, sicché anche voi vi date da fare? Mi stavo appunto domandando che razza di lavoro fosse il vostro.
— Ma come? Non sapete dunque che sono il più grande commesso viaggiatore della Fabbrica Harry: Serrature & Chiavistelli? La fabbrica è di mio zio e si trova a Cold Springs, ma sono io che vendo tutte le serrature che fabbricano laggiù. Non potete immaginare quante ne occorrano adesso in Inghilterra, coi bombardamenti che ci sono!
Mi lancia una lunga occhiata e soggiunge: – Una cosa davvero interessante – e poi riprende: – È strano, però. Non avete per nulla l’aspetto di un commesso viaggiatore.
— Be’, si vede che sono un tipo fuori del comune, ma rispondete alla mia domanda: che ne dite del mio invito?
Carlette scrolla il capo.
— Niente da fare – e alza la manina per dirmi di non interromperla. – Ora vi spiegherò il motivo e voi siete libero di credermi o di non credermi. Non ci tengo a rivedervi perché sento che finirei per innamorarmi e, almeno per ora, non voglio attaccarmi a nessuno. Ciò potrebbe interferire...
— Con che cosa? – la interrompo.
— Ecco; questo non posso dirvelo.
— Sapete che siete un tipo singolare, Carlette? – osservo. – Ora mi dite che non volete più vedermi perché avete paura del mio fascino, e durante la traversata non avete fatto altro che stare alla larga da me!
— Certo – conferma la bella – ma c’era un motivo. Nessuno che abbia un po’ di buon senso pensa di scherzare col fuoco, nevvero? Il fatto si è che ricorderò sempre questa notte. Ricorderò sempre che vi devo la vita perché mi avete salvata dalle acque gelide. Vorrei che ci separassimo così con questo bel ricordo.
— Capisco – dico e la guardo a lungo in silenzio. Poi continuo: – È una cosa davvero bizzarra, sapete, ma ho la netta impressione di avervi già vista in qualche altro posto. E dire che io sono fisionomista! Come mai ho potuto dimenticarvi? La cosa mi lascia davvero perplesso!
Sorride e cerca di spiegare:
— Suppongo che si tratti di un’altra. Immagino che di donne ne abbiate conosciute parecchie, nella vostra vita.
Abbasso gli occhi modestamente.
— No – mormoro – dovete credermi, non sono fortunato con le donne.
Non mi crede. Accendo una sigaretta e la prego di scusarmi per qualche minuto. Mi alzo e giro per il corridoio finché non trovo l’uomo addetto ai bagagli. Gli dico di chiedere al facchino che le porterà le valige, quale è l’indirizzo di Carlette. Gli mollo una sterlina. – Questo è per compensarvi del disturbo – spiego. L’amico ringrazia e promette che farà il possibile.
Ritorno da Carlette e dopo cinque o sei minuti arriviamo alla stazione di Waterloo. Saluto la mia