Nel segreto del padre
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Anteprima del libro
Nel segreto del padre - Giandomenico Betalli
NELLA MANO DEL PADRE
I
Erano due fratellini inseparabili. Quando camminavano assieme al padre, mano nella mano, per le strade del loro paese, si sentivano forti, sicuri. Gli occhi di tutti si illuminavano al loro passaggio. «Papà, ti salutano tutti» osservavano con sorpresa i due bambini, «E tu parli e sorridi a ogni persona»; «Voi dite?»: lui sembrava ignaro di questa considerazione. In effetti riservava a tutti la stessa attenzione, come se fossero più interessanti di lui, come se ognuno fosse nel momento dell'incontro la persona più importante al mondo. Uscire con lui era un esercizio infinito di pazienza, perché si sapeva quando si partiva ma mai quando si sarebbe tornati. Eppure Giovanni e Paolo non si stancavano mai. Vederlo parlare e ascoltare per loro era come una ricarica di energia: la mano che stringevano era la loro presa e quando si staccavano da essa erano forti della stessa autorevolezza, della stessa fiducia, della stessa forza del padre. Per questo tra i loro compagni si muovevano come dei piccoli leader, senza neppure desiderare d'esserlo. La loro compagnia era contesa da tutti senza gelosie.
La loro mamma era morta per una emorragia in seguito al parto di Giovanni, quando Paolo aveva poco più di un anno. Non la ricordavano più; ma la cosa strana è che non ne sentivano la mancanza, perché per loro il padre era anche una madre: pieno di affetto e di cure e al tempo stesso autorevole; sempre presente, senza mai rubare nulla alla loro autonomia. Spesso davanti alla loro esuberanza li lasciava sbagliare e quando arrivava la delusione o la ferita si chinava su di loro e con domande piene di vera compassione li aiutava a capire come mai le cose non erano andate come avrebbero voluto. Non c'era mai rimprovero, ma partecipazione e le stesse mamme dei loro amichetti quando qualcosa del genere capitava sotto i loro occhi guardavano ammirate i dialoghi che si sviluppavano, cercando di carpirne il segreto. Qualche volta glielo chiedevano ma lui si schermiva quasi fosse un idiota che non sapeva quello che faceva. In realtà aveva un segreto che comunicava in pillole solo ai figli e più avanti sarebbe stato Giovanni a ricordare molte delle sue parole, incastonate spesso in piccoli fatti. In uno di questi Giovanni tornava col papà e con la zia Marisa dall'ospedale dove Paolo era stato ricoverato per essere operato di appendicite. Quella notte Giovanni per la prima volta sarebbe rimasto solo nella sua cameretta. Quando se ne rese conto si mise a piangere. Papà lo prese teneramente tra le braccia dicendogli: «Ma tu non sei solo, ci sono anch'io e poi c'è zia Marisa che dormirà con te stanotte». Poco dopo, quando Giovanni si fu rasserenato, papà si chinò di nuovo su di lui e «Quando crescerai Giovanni ti accorgerai che siamo tutti soli, ma allora ricordati che noi non siamo fatti per vivere da soli». In altre occasioni quando i loro perché diventavano incessanti lui sorrideva paziente dicendo «Fate bene a chiedere perché. Chiedetelo sempre alla vita perché sarà lei a insegnarvi meglio di me, ma voi ricordatevi di interrogarla, perché la vita altrimenti rimane muta». Giovanni e Paolo non capivano quel che lui diceva e lui lo sapeva, ma non rinunciava per questo a parlare con loro come se potessero capire. Dentro quella saggezza c'era un senso del futuro, della vita, carico di speranza, di gioia sommessa, ma anche di mistero. «L'amore» disse una volta «è un biglietto di sola andata; il ritorno lo pagherà qualcun altro se lo vorrà, ma intanto voi dovete essere sempre pronti a vivere altrove».
«Altrove dove?» chiedevano incuriositi i bambini «Altrove … nel paese che non c'è» e loro ridevano di cuore. Giovanni in particolare si divertiva ad ascoltarlo e ogni volta immaginava il padre in vesti diverse: una volta era bigliettaio, un altro sacerdote, poi un pilota d'aereo, o un contadino... La sua fantasia era veramente fervida. Paolo al contrario si sforzava, nel silenzio, di comprendere. Non ci riusciva, ma quel che intuiva lo rielaborava a modo suo, con una sensibilità del tutto originale. La maestra ripeteva spesso di Paolo che era colpita della maturità che si esprimeva nelle piccole composizioni richieste in classe. Una volta ne lesse una a tutti i compagni, e si dovette trattenere dal farlo altre volte per non generare invidie. Si diceva sorpresa della capacità precoce di Paolo di cogliere, pur con la sensibilità di un bambino, quel che sta dietro le cose.
II
Un giorno la dirigente e una bidella li chiamarono fuori dalle rispettive aule di scuola e comunicarono la notizia che era successo qualcosa di grave al loro papà. La reazione dei due fu opposta. Giovanni rimase attonito, senza reazioni apparenti, mentre Paolo il più grande si mise a urlare come un ossesso, inveendo contro la dirigente scolastica che li aveva in consegna: «Non è vero!» urlava in continuazione «Mi state prendendo in giro! A papà non può succedere nulla»; e si rifiutava di seguire la dirigente verso l'uscita. Ad un cenno della dirigente la bidella fece arrivare la zia Marisa, sorella del papà, che li stava attendendo all'ingresso della scuola. Nemmeno lei riuscì a smuoverlo ma non aveva molto tempo per cui decise di partire per l'ospedale solo col piccolo Giovanni. Il papà era in una situazione gravissima anche se ancora cosciente. Lui stesso aveva chiesto di vedere i figli capendo di essere vicino alla morte. Si trovò davanti solo Giovanni cui prese la mano e con un tenue sorriso e la voce fioca disse: «Ciao Giovannino, come va? ... ricorda che sarò sempre con voi, dillo anche a Paolo». Spirò poco dopo.
Il giorno del funerale la folla era immensa, ma Paolo non c'era. Ostinato e disperato si rifiutava di accettare la realtà. Zio Arturo, fratello della mamma, che era arrivato da una città lontana lo prese con sé per quei giorni, cercando di svagarlo e di avvicinarlo alla realtà, ma ogni volta che tentava di farlo, Paolo chinava il capo, poi di scatto lo rialzava e interrompendo lo zio, come colto da un impellente e improvviso bisogno, chiedeva le cose più assurde. Su sua richiesta andarono a visitare un biotopo poco lontano da casa e il giorno dopo lo zoo. Passò così il giorno del funerale senza che Paolo potesse rivedere il papà, nemmeno da morto.
Al termine della messa venne cantata, su esplicita richiesta della zia Marisa, una canzone particolare: era The sound of silence, un brano in inglese che tanto piaceva al papà. Zia Marisa non conoscendo l'inglese, come del resto suo fratello, non ne conosceva il significato. Era certa solo che non si trattasse di una canzone sentimentale e nella sua percezione la melodia si sposava perfettamente col clima di profonda serenità che si respirava quel giorno.
III
Nel periodo che intercorse tra la morte del papà e la fine dell'anno scolastico i due bambini restarono in casa della zia Marisa. Ma più a lungo lei