Romanzo ignorante: Come è bella Torino. A volte
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Anteprima del libro
Romanzo ignorante - Alberto Tondella
Manhattan. New York. Mercoledì 6 aprile 2016, h12:30
(Mr. William Burton)
– Ma guarda come vivono questi. Dormono almeno in dieci in cinquanta metri quadri! – pensò William per un istante, cadendo veloce, a testa in giù, e sfilando davanti al finestrone del soggiorno al nono piano del palazzo nella 47esima strada, nel pieno del Diamond District
di Manhattan, a pochi passi dal Rockefeller Center.
William stava precipitando dal dodicesimo piano.
Dopo una frazione di secondo si rese conto di non avere il controllo delle articolazioni: stavano andando dove volevano.
La camicia si era strappata e quel che ne restava stava svolazzando attorno al collo, mentre i pantaloni color kaki si erano appiccicati alle gambe, rendendole un po’ rigide come fossero ingessate. Una sensazione mai sentita prima.
Stava precipitando e non per sua scelta.
All’altezza del settimo piano ruotò verso l’alto e vide il gran cartellone pubblicitario che rivestiva il palazzo, e che di notte lo illuminava come fosse un albero di natale da due soldi.
MAMMA MIA! The musical that…
William pensò che non sarebbe più riuscito a vederlo quello spettacolo e per un attimo si sentì in colpa per tutte le volte che aveva ignorato la richiesta di Amy di passare da Broadway, al ritorno dal lavoro, per prenotare i biglietti.
Amy. chi le darà la notizia della sua morte?
Ecco perché era lì, nel cuore di Manhattan, per Amy.
Pochi centesimi di secondo dopo i piedi urtarono un davanzale. La cosa non gli procurò dolore, ma vide una delle sneakers nuove sfilarsi e schizzare lontano: quelle bianche con il baffo nero e la targhetta dorata.
Venerdì prossimo avrebbero festeggiato cinque anni di matrimonio e le avrebbe voluto fare un regalo importante.
Per quel motivo era lì: Peter gli aveva dato l’indirizzo di un ebreo della 47esima strada, che nel suo appartamento al dodicesimo piano trafficava diamanti del Congo a metà del prezzo rispetto a quello delle gioiellerie più eleganti.
William ci era appena stato e aveva appena scelto di non comprare la chitarra nuova. Con quei soldi avrebbe invece acquistato un pezzo da 2.800$. L’aveva guardato così a lungo che si ricordava il cartellino su cui poggiava "Colore: H,Purezza: VVS1, Taglio: Excellent, Finitura: Excellent,Simmetria: … la simmetria non se la ricordava.
Un paio di finestre più sotto vide un salotto dominato da un colore tra il giallo e il marrone, un gatto maculato, una TV accesa con una tizia che gesticolava, un bambino in pigiama che lo fissò e lo salutò con un cenno della mano.
Ruotò involontariamente ancora un poco e scorse i tizi vestiti di scuro che si precipitavano in strada attraverso le scale esterne, quelle dell’uscita di sicurezza. Sentì il cellulare squillare e vibrare nella tasca. Pensò di essere più che giustificato nel non rispondere, chi lo chiamava avrebbe capito più tardi perché non aveva ricevuto risposta e si sentì la coscienza a posto.
Quei tizi vestiti di scuro ma chi cazzo erano? Avevano fatto irruzione nell’appartamento dell’ebreo con la forza di un treno, facendo esplodere a fucilate le mille serrature. Quello più basso lo aveva immobilizzato e gli aveva puntato una rivoltella sotto la gola, mentre gli altri due ripulivano il tavolo con le mani spalancate come si fa per spazzar via le briciole dopo cena, e infilavano un paio di manciate di diamanti in un sacchetto di velluto nero. Avevano sparato un paio di colpi di fucile alle pareti, le foto delle miniere africane erano schizzate via dalle cornici che le rinchiudevano da chissà quanti anni, e avevano iniziato a dondolare lentamente verso il pavimento.
Mancavano pochi metri all’urto. William valutò velocemente le possibilità d’impatto con gli oggetti sui quali si sarebbe schiantato: un taxi, un distributore di quotidiani, il marciapiede, la gente... tanta gente. Valutò cosa gli avrebbe potuto attutire quella caduta, probabilmente il tetto del taxi, sperando di non centrare l’insegna OFF DUTY
: probabilmente sarebbe stato meglio atterrare su una persona, magari un po’ grassottella.
Perché quei tizi vestiti di scuro avevano preso lui in ostaggio invece di una di quelle due vecchiette rinsecchite? E perché, prima di scappare, lo avevano spinto nel vuoto? Probabilmente perché la sua caduta in strada avrebbe creato confusione, permettendo loro di fuggire indisturbati. Sì, era sicuramente così. Sono furbi i tizi vestiti di scuro.
Le speranze di centrare il tetto del taxi si allontanavano, la caduta lo stava portando sulle pietre che delimitano il marciapiede. Pietre dure. Molto dure. Nessun grassone in vista. Vide un cagnolino proprio sotto di sé, troppo piccolo per essere d’aiuto.
Sentì un botto sordo.
Un grido di donna.
Una sirena lontana.
Musica rap.
Tutto nero.
Tutto bianco.
Tutto nero.
Torino. Mercoledì 6 aprile 2016, h16:00
(Lo shooting ai Muri)
– Stefano, riesci a scattarne qualcuna rimanendo sotto la scalinata? Mentre Aline scende saltellando? In questo modo il vestitino svolazza e mettiamo un po’ di pepe a ’sta scena! Magari si vedono meglio anche le scarpe, così il cliente è contento.
Per Leo quelli erano gli aspetti più gratificanti del suo lavoro: gli shooting fotografici. Meglio ancora se in esterno. Meglio ancora se accessoriati da modelle carine come Aline.
– Mario, tieni indietro quelle vecchie carampane che entrano nell’inquadratura. Se ne cade una di sotto ci tocca interrompere il lavoro!
Leo era un pubblicitario, un po’ improvvisato, autodidatta, che probabilmente non avrebbe trovato un buon lavoro all’interno di una grossa agenzia di pubblicità. Ne aveva dunque creata una circa dieci anni prima: La Tortuga.
– Dai Aline, fai ancora un giro per piacere. Questa volta guarda fissa in camera, e ricordati di sorridere sempre, fai vedere quanto ti stai divertendo, cazzo!
Per il catalogo di PAPERITA (le scarpe piene di vita!), Leo aveva scelto di scattare alcune foto ai Murazzi, le vecchie rimesse delle barche sul Po, nel centro di Torino, ora uno dei luoghi scelti dalla movida torinese.
L’atmosfera era assicurata, soprattutto al tramonto. E poi ci si poteva arrivare a piedi dallo Studio. Leo aveva imparato a ottenere il massimo effetto ma facendo molta attenzione ai costi. Il che gli garantiva grande stima da parte dei clienti.
– Federica, dai una mano ad Aline a cambiarsi, falle mettere i pantaloncini aderenti e il top bianco. Poi scattiamone qualcuna mentre cammina scalza sul bordo del fiume, con le ballerine in mano. Passale quelle nere ricoperte di pajette e buttiamole le luci addosso per farle brillare.
Quel nome, Leo, era stata una scelta, o meglio una colpa, di suo padre, grande vecchio cuore granata.
Sulla carta d’identità si poteva leggere Leovegildo Morelli
in onore del centrocampista brasiliano militante nel Toro dal ’84 al ’87: Leovegildo Lins da Gama Júnior.
Viveva da single in un piccolo appartamento in centro. Con il passare degli anni il suo carattere si era fatto sempre più egoista, egocentrico e permaloso, tanto che erano diversi anni oramai che le sue relazioni amorose non duravano più di un paio di mesi. Si limitava, con successo, a gestire tre o quattro avventure sporadiche, basate sostanzialmente su una buona intesa sessuale.
– Sì, brava Aline, gioca con il cane ancora un po’. Prova a tirargli una scarpa, vediamo se te la riporta.
La Tortuga era un’agenzia piuttosto piccola, che poteva sopravvivere degnamente grazie a una decina di giovani affiatati e talentuosi.
– Matte’, fai un po’ di scatti dal ponte per il backstage invece di rimanere appiccicato ad Aline come un adesivo. Cazzo, Matte’ ha sedici anni! Piuttosto, le GoPro le hai piazzate sul lampione?
Matteo era il socio di Leo, amico inseparabile e fonte di costante nervosismo. Era un misto fra genialità e irresponsabilità, fra intuito e inaffidabilità. Il continuo dondolare tra questi estremi era ciò che lo rendevano interessante e insostituibile nella vita di Leo. Sarà perché si conoscevano dai tempi delle Medie, ma quando lavoravano assieme, c’era sempre un alone di gioco che illuminava anche i progetti più noiosi.
La Tortuga era nata e cresciuta a loro immagine e somiglianza. Un piccolo, sveglio gruppetto di ragazzi che avevano scelto una professione che era anche un po’ un gioco.
E le piccole telecamere GoPro facevano parte dei giochi: per Leo e Matteo erano i gadget della settimana. Le piazzavano ovunque: sulla bici, sulla testa, nella camera da letto. Video, fotografie, time-lapse. Ogni scusa era buona per utilizzarle in qualche progetto di lavoro.
Anche in questa occasione se le erano portate appresso, garantendo ai clienti un backstage straordinario.
Durante la notte, sacrificando l’involucro di una vecchia lampada Kartell, avevano creato un marchingegno che avrebbe permesso di affiancare due GoPro, così da poter registrare scene con due angolazioni leggermente diverse e ottenere spettacolari filmati tridimensionali. Un pretesto per utilizzare il gadget della settimana precedente: gli occhialini per proiezioni in 3D comprati da Amazon Bulgaria, pagandoli circa il doppio degli identici presenti su Amazon Italia.
Le GoPro sarebbero state soppiantate la settimana seguente da un mini-elicottero in sughero alimentato da energia solare, che volò una volta soltanto, quando fu lanciato violentemente da Matteo contro una libreria dopo l’ennesimo tentativo fallito di farlo decollare dal tavolo della sala riunioni.
– Ragazzi ora c’è la luce migliore, diamoci dentro. Anche perché fra un po’ mi sa che si mette a piovere.
– Signor Leo – Disse ad alta voce Aline – Perché non fa qualche foto mentre cammino in equilibrio su bordo di cornicione di ponte? Mia mamma era equilibrista di circo ed io imparato da lei!
Leo trovò curioso come in una sola frase della giovane ucraina ci fossero due cose che lo fecero pesantemente innervosire: quel Signor Leo
aggiungeva di colpo almeno dieci anni ai suoi attuali trentacinque, proiettandolo nel mondo dei quasi-vecchi. Inoltre, Leo non sopportava, durante le sessioni di scatti fotografici, chi si permetteva di suggerire idee, soprattutto perché le trovava, il più delle volte, scontate e banali. Cazzo! Era lui il creativo sì o no? Ed era o no pagato per avere idee originali?
La ragazza aveva ragione. Tra di loro c’erano diciannove anni di differenza e l’idea che aveva suggerito, era sinceramente carina. Perciò nascose la sensazione di fastidio alzando il sopracciglio destro e ordinò con finto entusiasmo: – Brava Aline, spostiamoci là dove il cornicione è illuminato dagli ultimi raggi di sole. Attenta però, cammina piano guardandoti la punta dei piedi. Mario mi raccomando stai attento a prenderla al volo in caso perdesse l’equilibrio.
Bravo – pensò – Bella frase! In questo modo hai fatto la persona democratica e responsabile, e ci hai aggiunto quel tocco di creatività che fa la differenza! Grande Leo.
Spostarono il set un po’ più in là, verso il Parco del Valentino. Oramai stavano lavorando da tre ore e il servizio si stava appiattendo, ma questo piccolo cambio di programma portò un pizzico di brio, facendo tornare entusiasmo nel gruppo e diede ad Aline quel poco di sicurezza che distingue una fotomodella da una semplice bella ragazza.
– Queste sono le immagini giuste – pensò Leo – Come al solito, sia che si scatti per quindici minuti o tre giorni, gli ultimi scatti sono sempre i migliori. Devo trovare il modo, la prossima volta, di cominciare dalla fine.
Nel frattempo cominciarono a scendere alcune gocce, dapprima leggere e delicate, poi sempre più grosse e cattive, regalando ancora due inquadrature dai colori innaturali.
– Signor Leo…
– Dimmi.
– E se faciamo una foto mentre mangio gelato sotto acqua?
– Bella… Non ti allargare – aggiunse ad alta voce – Ok, ben fatto! Tutti di corsa a casa. Bravi tutti.
I ragazzi smontarono il set.
Matteo si offrì di portare a casa Aline. Durante il viaggio le avrebbe raccontato di quella volta che, essendo svenuto il pilota, dovette prendere i comandi dell’aereo che stava portando lui e Leo a ritirare un premio a Los Angeles.
Leo, rimasto solo, si abbandonò ad ammirare il fiume tinto di viola e pugnalato da gocce violente. Poi si girò verso il ponte: su una delle arcate una scritta in blu recitava Diego scopami, poi ti spiego…
.
Veglio. Biella. Venerdì 8 aprile 2016, h24:00
(The Nord Italian Crew)
– Dai raga che fra poco si mette a piovere! – disse Geronimo tirando fuori l’accetta e le corde dal baule del Maggiolone – V’immaginate che figata se piove anche domani? Sai che sculate faranno quelle cazzo di macchine su questi tornanti?
– Potremmo aiutarle noi con un po’ di olio, ne ho qualche litro in macchina – suggerì compiaciuto Dudù, ma nessuno gli rispose. Erano tutti concentrati su quell’operazione notturna, che loro chiamavano i Blitz
, pianificata e sviluppata durante le ultime due settimane nella loro sede non ufficiale: il Bar Tre scalini della piazza centrale del paesino di Granfosso, saletta da biliardo, tavolino accanto alla stufa a pellet.
– Se la ricorderanno per anni questa storia…
Geronimo se lo disse a bassa voce per tranquillizzarsi ed eccitarsi allo stesso tempo.
Rilesse nella sua testa i punti che aveva scritto e corretto più volte.
A mezzanotte ci troveremo tutti al tornante n°12 della Prova Speciale Romanina-Veglio
del Rally della Lana, dove parcheggeremo auto e moto in modo che i fari illuminino l’interno del bosco.
Beppe e Melo saliranno veloci sui due alberi scelti e contrassegnati in precedenza con una bomboletta spray fucsia. Nel frattempo JJ si posizionerà nel tornante successivo per fare da vedetta.
Geronimo e Dudù lanceranno le funi agli scalatori che isseranno lo striscione legato alle corde e lo fisseranno più in alto possibile.
Poi scenderanno dagli alberi, tagliando i rami e oliando i trochi, in modo che