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Bologna non c'è più: Un'altra indagine di Galeazzo Trebbi
Bologna non c'è più: Un'altra indagine di Galeazzo Trebbi
Bologna non c'è più: Un'altra indagine di Galeazzo Trebbi
E-book326 pagine4 ore

Bologna non c'è più: Un'altra indagine di Galeazzo Trebbi

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Info su questo ebook

Pietro Ricci educatore, cinquantenne, laureato in filosofia, è bravissimo nel suo lavoro.
Non c’è nessuno in grado di gestire pazienti psichiatrici come lui, ma non è contento né del suo lavoro, né della sua vita. L’unica sua vera soddisfazione è un seminario organizzato da lui sul terrorismo delle Brigate Rosse, durante il quale ha conosciuto tante persone interessate all’argomento e tante persone scontente, come lui, della propria vita. Pietro incrocia Trebbi in piscina dopo un allenamento e scambiano due chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè. Inizia così la seconda indagine di Galeazzo Trebbi che, questa volta, dovrà fare i conti con il passato.
Quel passato recente che tanto ha segnato la storia del nostro paese e che lui conosce bene. Dovrà scoprire cosa si sta muovendo a Bologna fra i gruppi della sinistra più marginale ed estrema, fra le inquietudini e le frustrazioni dei nuovi poveri, sempre più poveri e sempre più arrabbiati. Dovrà capire cosa sta per esplodere nella sua città e dovrà farlo in fretta. Il commissario Guerra sarà ancora al suo fianco per cercare di svelare la realtà, quella che nessuno vuole venga rivelata. Mentre Trebbi suo malgrado affronta un’indagine dai risvolti politici inaspettati, viene assunto da una famiglia dell’alta borghesia bolognese per vegliare sul suo giovane rampollo e si trova costretto nuovamente a fare i conti con la sua occulta umanità. Sarà un inverno difficile quello di Trebbi e la conclusione… come al solito non sarà né facile, né scontata.
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2015
ISBN9788869430985
Bologna non c'è più: Un'altra indagine di Galeazzo Trebbi

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    Anteprima del libro

    Bologna non c'è più - Massimo Fagnoni

    Le ragioni dei terroristi

    ... Molti degli studi che si sono concentrati sulle caratteristiche dei singoli membri di organizzazioni clandestine possono essere ricondotti all’approccio psicosociologico [...] I militanti delle organizzazioni clandestine sono stati descritti come persone incapaci di raggiungere l’età adulta, malati mentali terrorizzati dal mondo esterno, falliti che si difendono dalle conseguenze demoralizzanti delle sconfitte subite vivendo il rifiuto come scelta e trasformandolo in volontà di potenza. Secondo alcune interpretazioni, sarebbe dunque l’istinto aggressivo non incanalato in uno sfogo rituale a produrre la criminalità politica. [...] Una prima critica a questo filone di studi riguarda la loro validità empirica. Come è stato osservato, molte opere sociologiche si limitavano ad analisi ex post di forme di azione collettiva, senza controllare sistematicamente se le insoddisfazioni a livello individuale o aggregato fossero nel frattempo mutate. [...] Ricerche basate su storie di vita e materiale biografico degli attivisti dei gruppi più radicali hanno indicato che la propensione a utilizzare la violenza politica non deriva da una personalità patologica. Le più recenti indagini sui dati caratteriali e biografici concordano nell’affermare che ‘la caratteristica più rilevante dei terroristi è la loro normalità [...]’"¹.

    1 Tratto da: Il terrorismo nel mondo contemporaneo; Microspiegazioni: Le caratteristiche dei terroristi. Enciclopedia delle scienze sociali (1998). www.treccani.it/.../terrorismo_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)

    Uno

    "...Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.

    L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.

    Perciò odio gli indifferenti..."

    Antonio Gramsci, Indifferenti, 11 febbraio 1917

    2 gennaio 2013

    1.

    Trebbi sta passando in rassegna i diversi tipi di caffè della moderna macchina nell’atrio della piscina e rimane affascinato davanti al caffè guaranà, deve essere una bevanda esotica, pensa, una di quelle brasiliane, sa di caffè forte, già ne immagina il sapore di chicchi tostati, la curiosità prende il sopravvento e la macchina computerizzata fa il suo dovere.

    Trebbi si ritrova ad annusare una bevanda color fango. Qualcosa non lo convince, non sembra esattamente caffè, lo assaggia e di caffeina neppure l’ombra, è un miscuglio di sapori, sembra ginseng con un retrogusto amarognolo. Trebbi arriccia le labbra carnose, e in quel momento si materializza un uomo alto, grosso, con un codino di capelli nodosi, neri e grigi, e una sacca da palestra a tracolla, l’uomo più giovane di Trebbi lo guarda e sorride interrogativo.

    «Il caffè fa schifo?» chiede con voce profonda.

    Trebbi annusa di nuovo la bevanda e la ingurgita con un solo movimento del collo corto, all’indietro, come una medicina.

    «Non è caffè. Credevo fosse un caffè sudamericano, invece ha un sapore a metà fra ginseng e fango di palude».

    L’altro uomo scoppia a ridere, una piccola esplosione controllata.

    «Ma che miscela ha scelto?».

    «Quella al guaranà».

    L’uomo ride di nuovo: «Il guaranà non è caffè, è una radice africana, dicono dia energia senza le controindicazioni della caffeina, in Africa era usata per i riti tribali, devo averlo letto da qualche parte».

    «Una radice?» chiede con espressione disgustata Trebbi.

    «Esatto, ma non sono molto preparato sull’argomento».

    «Quindi adesso dovrei cominciare ad avere visioni e a saltellare in giro?» risponde Trebbi con un’espressione corrucciata.

    L’uomo ride di nuovo: «Lei è una sagoma».

    «E lei è decisamente alto».

    L’uomo annuisce, il sorriso si affievolisce appena.

    «Sì è uno dei miei pregi e anche dei miei problemi, essere grande e grosso non sempre è un vantaggio, tutti si nascondono dietro la tua ombra».

    «Dipende da tante cose, anche dal lavoro che uno fa, a me non sarebbe dispiaciuto, sa lavoravo in polizia e lì il fisico aiuta, a volte».

    «Io lavoro in psichiatria, conta anche lì, ma fino a un certo punto, in teoria dovrebbe essere la relazione a contare».

    Trebbi guarda dal basso l’uomo, inclina appena la testa sormontata da un berretto da baseball di panno blu con sopra il simbolo del Bologna.

    «Interessante punto di vista, peccato debba andare, magari al prossimo caffè riprendiamo il dibattito».

    L’uomo alto sorride, annuisce, e allunga una mano verso Trebbi che la stringe con energia controllata.

    «Volentieri e lei mi racconterà com’era fare lo sbirro a Bologna».

    Trebbi esce dalla piscina Vandelli con la piacevole sensazione di muscoli indolenziti dallo stile libero e la testa leggera, fuori il cielo di gennaio è chiuso e incombente, un enorme pugno di ferro sopra la città. È freddo, umido. La consueta acquosità bolognese entra sotto il pesante giaccone di pelle e si insinua nelle ossa. Il maggiolone nero di Trebbi sembra in attesa, accende l’auto e insieme la radio. Pomeriggio inoltrato, adesso deve andare a cercare il suo obiettivo, il suo primo incarico 2013, un ex minore a rischio, come l’ha definito il segretario del padre.

    Trebbi ricorda ancora l’incontro durante il quale doveva decidere se accettare l’incarico.

    Appuntamento 24 dicembre, primo pomeriggio, nell’ufficio dell’azienda di famiglia, una fabbrica di confezionamento alimentare in zona Roveri.

    Trebbi era seduto in una poltrona sfondata e spugnosa in una sala di attesa senza pretese, ha dovuto aspettare una decina di minuti osservando senza entusiasmo manifesti pubblicitari appesi alle pareti dentro cornicette di finto legno. Nella sala aleggiava un odore indefinibile di prodotti chimici e roba da mangiare e Trebbi ha pensato distintamente che chi opera in un qualsiasi settore alimentare per uomini o bestie difficilmente rimarrà senza lavoro, crisi o non crisi. La crisi a fine 2012 per l’anziano poliziotto è come un film dell’orrore. Lui è lì, in poltrona, a godersi lo spettacolo, mentre i protagonisti, tutti gli altri, annaspano, cercando di sbarcare il lunario, fra mutui da pagare, tasse sulla casa, aumenti di benzina, riscaldamento e cassa integrazione. Lui è un privilegiato, in pensione, un lavoro da investigatore privato e qualche soldo da parte. Per lui la crisi è solo un film, e forse anche per i proprietari di quell’azienda. Poi la porta di un ufficio anonimo si è schiusa ed è apparso un giovane uomo, magro, pallido, con un brutto riporto e un sorriso di circostanza. Trebbi ha pensato a un pollo spennato osservando il lungo collo del giovane fare capolino dal colletto inamidato di una camicia bianca.

    «Lei è il famoso Trebbi?» ha affermato con voce acuta e femminile, appena ansimante, probabilmente a causa di un inconveniente respiratorio.

    «Famoso?» ha risposto Trebbi sinceramente stupito alzandosi a fatica dalla poltrona incassata.

    «Certo, lei è l’investigatore che collaborò con la giornalista televisiva, come si chiama? Benedetti mi pare, per il ritrovamento della ragazzina scomparsa»².

    Trebbi ha annuito, le labbra carnose incurvate in un’espressione desolata, una delle sue caratteristiche manifestazioni facciali utilizzate quando non sa cosa rispondere.

    «Si accomodi».

    Trebbi entrò nell’ufficio dove stagnava un odore chimico indefinibile, in un angolo scatole di alimenti per animali, dietro la scrivania, appesa al muro, la gigantografia in bianco e nero di un uomo che a Trebbi ricordava vagamente Mussolini, robusto, pelato, mento volitivo, occhi piccoli e spalancati.

    L’uomo notò la curiosità di Trebbi per la fotografia.

    «Quello è il signor Lazzarini, fondatore dell’azienda, passato a miglior vita l’anno scorso».

    Trebbi annuì di nuovo sedendosi in una poltroncina di finta pelle davanti a una scrivania in finto legno, sormontata da decine di riviste specializzate, dedicate ad alimenti per animali.

    «Eccoci qua, la telefonata era un po’ vaga, intanto una curiosità, voi inscatolate e vendete prodotti per animali?»

    L’uomo sorrise compiaciuto, il lavoro deve avere una parte importante nella sua vita.

    «Alimenti per animali da reddito, chiaramente, e anche medicinali un doppio ramo d’azienda. Noi ci occupiamo di tutto ciò che è indispensabile per alimentare gli animali con una particolare attenzione alla loro salute».

    Trebbi annuì di nuovo, la puzza indefinibile gli stava assediando il cervello, la sentiva appiccicata ai vestiti, alla pelle, in gola, un odore misterioso, segatura bagnata da urina di gatto messa ad asciugare sotto un termosifone, uno di quelli grandi in ghisa che campeggiavano nei corridoi del suo liceo. Ecco, quell’odore chimico gli ricordava la segatura e il liceo, effetti da esposizione prolungata a sostanze tossiche, pensò Trebbi.

    «Se ho capito bene, alimentate e curate animali, come li ha definiti... da reddito, per poi inviarli sani e controllati al macello... mi dica se sbaglio».

    L’uomo dal lungo collo guardò con occhietti vigili Trebbi, come se lo vedesse per la prima volta, accantonando il sorriso compiaciuto.

    «Santo cielo, non sarà un animalista?».

    Trebbi fece no con la testa.

    «No, decisamente carnivoro, anche se ho letto da qualche parte che nei nostri animali, quelli che mangiamo, spesso ci sparate antibiotici e porcherie varie insieme agli alimenti, che poi ci ritroviamo in circolo, ma saranno illazioni... immagino».

    «I nostri alimenti sono controllati e sani, come gli animali che noi nutriamo».

    Il labbro sottile dell’uomo fremette con uno scatto vibrante di orgoglio e per Trebbi la curiosità era già appagata.

    «A questo punto inquadrata l’azienda, mi dica cosa posso fare per lei, a proposito è lei il committente?».

    L’uomo ritrovò subito il sorriso, denti piccoli e regolari a fare capolino fra le labbra sottili.

    «No, io sono il direttore del ramo vendite e l’addetto stampa dell’azienda, in questo caso la signora Lazzarini, mi ha incaricato di trattare con lei».

    «Mi dica tutto, di cosa stiamo parlando? Spionaggio industriale? Estorsione? Furti in azienda?».

    L’uomo scoppiò a ridere, una sequenza di piccoli gemiti controllati. «Niente di così drammatico. Sappiamo che lei è esperto di adolescenti a rischio, conosciamo anche la sua vicenda umana personale e...».

    Trebbi aggrottò la fronte stringendo i pugni piccoli ma minacciosi.

    «Avete preso informazioni su di me?».

    L’uomo lo guardò, gli occhi socchiusi e un’espressione nuova, un sorriso impercettibile e tagliente.

    «Trebbi lei è quasi un personaggio pubblico, non c’è bisogno di pagare qualcuno per sapere che ha una figlia in una struttura residenziale a causa di un’overdose che l’ha gravemente menomata qualche anno fa, in rete ormai si trova tutto».

    Trebbi contò fino a dieci, poteva alzarsi prendere quella sottospecie di uomo tacchino per il collo e divertirsi un poco a strapazzarlo, nessuna necessità impellente di lavorare, ma in dieci secondi concluse che l’uomo aveva ragione. La sua ultima indagine mediatica lo aveva reso molto popolare a Bologna, almeno in certi ambienti.

    «Andiamo avanti», mormorò con un piccolo sforzo, soffiando fuori rabbia e fiato.

    «Si tratta del rampollo di famiglia, figlio unico e unico erede di tutta la baracca, diciotto anni, frequenta il San Giovanni, liceo privato molto...».

    «Conosco il San Giovanni, il liceo dei figli della Bologna bene, lì vanno a finire i somari che altrimenti non potrebbero farcela. La famiglia paga e molto e i ragazzi ce la fanno a diplomarsi a cucci e spintoni in un ambiente protetto ed esclusivo».

    «Noi preferiamo pensare che sia uno dei migliori istituti cittadini».

    «Sicuramente ed è auspicabile, visto quanto costa una retta annuale».

    «Lei è comunista Trebbi?».

    Trebbi spalancò gli occhi per osservare meglio il suo interlocutore, poi scoppiò a ridere, una risata sonora, cavernosa e allegra, Cervi non avrebbe fatto di meglio.

    «No... non sono comunista, e lei è proprio un personaggio, ma lo sa che il comunismo è morto da un pezzo, almeno nel nostro paese?» rispose asciugandosi una lacrima sincera con l’indice della mano destra.

    «Quindi non ha pregiudizi nei confronti di chi ha ingenti capitali e mezzi?».

    «Anzi, è più facile essere pagati da chi ha denaro e potere, spero almeno, ma veniamo al punto, se non le spiace».

    «Certo, mi piace che lei non ami perdere tempo. Il problema è questo, il ragazzo, Wolfango Lazzarini, frequenta la terza liceo al San Giovanni, ha perso un anno, prima frequentava il Righi, che immagino conosca».

    «Wolfango?», chiese Trebbi sorridendo.

    «Esatto».

    «Un miracolo che non abbia eliminato i genitori, dico le sembra un nome normale?».

    L’uomo scrollò le spalle magre intenzionato a proseguire.

    «Il ragazzo è sempre stato un po’ problematico, è insofferente alle regole, e a scuola ha sempre fatto molta fatica, ma da qualche mese la situazione è peggiorata, esce tutte le sere, non si sa chi frequenti, non studia, rincasa sempre tardissimo e i genitori sono preoccupati».

    «E hanno incaricato lei di occuparsi della questione».

    «Sono persone molto impegnate».

    «Immagino, ma a volte certe questioni è meglio seguirle direttamente, non ci si improvvisa genitori e non si può delegare qualcun altro a farne le veci, se lo lasci dire da uno che se n’è accorto troppo tardi».

    «Posso essere d’accordo in linea teorica con lei, ma adesso i genitori vogliono che un professionista scopra cosa combina il loro unico erede, e questo fatto non coinvolge solo loro ma tutta l’azienda, perché un giorno Wolfango sarà l’erede di tutto il circo, quindi è meglio che si rimetta in riga al più presto».

    «Quali sono i miei compiti e fino a dove posso spingermi».

    «Vogliamo sapere come si muove, chi frequenta, tutto. E se dovesse essere nei guai vogliamo che lo aiuti ad uscirne e che possibilmente lo protegga».

    «Perché lei è così sicuro che il ragazzo sia nei guai?».

    «Una delle donne delle pulizie ha trovato in camera sua della carta stagnola bruciata, ci siamo informati, serve...».

    Trebbi alzò una mano per fermare il discorso.

    «Lo so a cosa serve, eroina o crack, adesso va di moda fumarsi quella merda, entra subito in circolo e brucia meglio il cervello, mia figlia se l’è fottuto in quel modo».

    L’uomo tacchino si limitò ad annuire.

    «Trecento euro al giorno più eventuali spese che chiaramente vi certificherò e i dati fiscali della signora Lazzarini per la fattura finale».

    «Noi non vogliamo pubblicità, non ci serve la fattura».

    «Nessuna pubblicità, la fattura serve eventualmente alla Finanza, io non ho bisogno di evadere il fisco. Detto ciò mi serve una fotografia attuale del giovane e la possibilità di dare un’occhiata alla sua camera, computer eccetera, quando non c’è, chiaramente».

    «Per la cifra nessun problema».

    «Immagino, adesso la scuola è chiusa e questo mi rallenterà un poco, perché è da lì che voglio cominciare a seguirlo. Comunque metterò in conto solo le giornate nelle quali lavorerò».

    Sono quasi finite le vacanze natalizie, ma Trebbi è riuscito a farsi un’idea dei giri del giovane rampollo. L’ha seguito nei luoghi oscuri della città. A capodanno, mentre i genitori festeggiavano a Cortina, Wolfango trascorreva un’allegra serata con un gruppetto di scoppiati al Kindergarten in via Calzoni, prima periferia della città. Trebbi non ha neanche provato ad entrare, lo conoscono, sanno chi è, non può passare inosservato neanche se si traveste, è piccolo, tracagnotto, e sembra più vecchio dei suoi cinquantasette anni. Si è limitato a seguire il giovane che con il suo macchinino ridicolo ha parcheggiato sulla via Stalingrado. Trebbi è rimasto in auto a fotografarlo mentre ancheggiando si è avvicinato a un gruppo di giovani.

    Si sono salutati nel loro modo teatrale e tragicomico, ridicole imitazioni di giovani afroamericani, copiate da mille video rap visti in rete, meno autentiche di un film di Spike Lee, poi ha baciato sulle guance quattro volte due nordafricani butterati che probabilmente procurano eroina per l’intero gruppo di giovani bolognesi.

    Trebbi, alle undici di sera dell’ultimo giorno di un anno da dimenticare per l’Italia e probabilmente per il mondo, ha fotografato il gruppo immortalando le smorfie, senza preoccuparsi di tradurre i discorsi, sicuramente grugniti poco sensati di giovani che non sanno cosa sia la crisi economica, forse perché loro ne sono un prodotto, uno dei più sacrificabili.

    Questa sera è di nuovo in caccia, si è affezionato al giovane bolognese figlio di mangimi e alimenti controllati, pallido, efebico, quasi anoressico e inconsistente adolescente maggiorenne, strafatto da mane a sera, inconsapevole del suo valore socioeconomico e delle responsabilità che il solo fatto di essere al mondo comporta per una intera azienda. Due gennaio, chissà se il ragazzo si è ripreso dalla nottata di capodanno, è tornato a casa in taxi. Il suo macchinino ridicolo è rimasto in via Calzoni e qualcuno ha provveduto a riportarlo nella villa in collina dove la famiglia risiede. Wolfango non si è nemmeno chiesto chi abbia perso tempo a recuperare il mezzo, però nonostante le condizioni di notevole alterazione è riuscito a chiamare un taxi e a tornare in villa. Ha un’elevata capacità di adattamento, forse non è del tutto perduto, pensa Trebbi, mentre annusa un toscanello alla vaniglia, prima di accenderlo. La serata è gelida, come tradizione vuole a Bologna, l’inverno vero, quello che morde e fa male, inizia in gennaio. Un suo informatore ucraino, grande bevitore di vodka, sostiene che il freddo russo sia molto più dolce, arrivando anche a punte di venti gradi sotto zero, non provoca lo stesso tormento del freddo della pianura padana, un freddo fradicio, inquinato, puzzolente e invasivo. Trebbi accende il motore del suo nuovo maggiolone che ha sostituito l’altro distrutto in un brutto incidente stradale³. Per radio le notizie dal paese, i commenti sul consueto discorso del Presidente di tutti gli italiani, un uomo di ottantotto anni che ha il coraggio di parlare di ripresa e futuro e dall’altra parte Berlusconi che promette di non candidarsi a leader della destra. I sondaggi relativi alle prossime elezioni politiche danno il Pd al 35 per cento e il Movimento 5 Stelle al 16 per cento. Trebbi aspira con attenzione il suo toscanello e apre uno spiraglio del finestrino, osserva la nuvoletta di fumo subito risucchiata dal vento della collina e sorride pensando a cosa scriveranno i giornalisti stranieri del suo sgangherato paese che vede fra i movimenti politici in corsa un politico indagato e sotto processo, al potere da vent’anni, e un comico genovese. Per fortuna Trebbi non legge la stampa straniera e molto difficilmente uscirà dall’Italia nei prossimi mesi. In quel pensiero compare la Grecav azzurra di Wolfango e Trebbi riconosce il profilo aguzzo del giovane mentre la minicar transita sotto il lampione della strada che dalla curva delle Orfanelle si avvia in discesa rapida verso Saragozza. Trebbi ha già l’auto nella direzione giusta e dopo avere lasciato un vantaggio di cinquanta metri a Wolfango ingrana la prima e comincia a seguire la Grecav che con la sua andatura da ciclomotore a quattro ruote si avvia verso via Saragozza.

    2 Vedi Il silenzio della Bassa, Massimo Fagnoni, Fratelli Frilli Editori, 2014.

    3 Vedi Il silenzio della Bassa, Massimo Fagnoni, Fratelli Frilli Editori, 2014

    2.

    Pietro sorride pensando all’anziano poliziotto incontrato alla macchina del caffè.

    Una volta erano così, magari bastardi dentro, magari fascisti, ma avevano consistenza, carattere, erano nemici degni di essere combattuti e magari uccisi, figli di quel dopoguerra che come un’amnistia aveva azzerato debiti e crediti per pochissimo tempo, il tempo di riformare gli schieramenti, di ricreare alleanze, erano uomini con una morale, con delle idee.

    Il dolore che avverte all’altezza delle costole lo riporta prepotentemente al presente, gli torna in mente la giornata precedente, il primo giorno del 2013.

    Cosa ho sbagliato? Pensa Pietro, pensa… porca puttana, dove ho sbagliato?

    La strada sembra un fiume in piena, luccica di pioggia in questo due gennaio 2013, poche auto in movimento, molti sono ancora a casa, o altrove, le scuole sono chiuse.

    Ci sono solo i coglioni come me a spasso, e questa volta mi sono fatto anche male, io, il coordinatore di questa armata Brancaleone di Oss⁴ del cazzo… incapaci, ignoranti, vigliacchi, sempre a chiedere aiuto, sempre a tremare davanti ai matti come se la follia fosse invincibile, branco di fancazzisti maledetti.

    La strada di casa lo accoglie a Porta Saragozza, poche centinaia di metri e finalmente potrà barricarsi dentro il suo appartamento, suo... insomma, si fa per dire. L’appartamento appartiene a Francesco Inardi, compagno di classe al liceo, amico, navigatore, grande esperto di allucinogeni, ricco di famiglia, in barca undici mesi l’anno, nei remoti mari del sud.

    Vent’anni prima Francesco gli propose di stabilirsi a casa sua mentre Pietro era intento a capire cosa fare della propria vita, doveva essere una sistemazione provvisoria ed è diventata la sua residenza. Pietro ripercorre gli accadimenti del primo gennaio come in un film di cui hai perso il frammento essenziale per capire la trama e proprio non riesci a recuperarlo.

    Mi hanno chiamato al cellulare, giustamente, visto che sono reperibile ventiquattro ore su ventiquattro, trecentotrenta giorni l’anno.

    Ricorda ancora quando il presidente dell’associazione gli propose l’incarico, due anni prima, quello smisurato paraculo di Arturo Grandi, trentacinque anni, nessuna esperienza con i malati di mente, quelli che adesso chiamano bipolari, come fosse un marchio di fabbrica.

    Pietro entrò nell’ampio ufficio luminoso, pieno di finestre, l’ufficio del presidente, e lui era lì, dietro al portatile con la famosa mela luminosa per ricordare al mondo che i presidenti come lui hanno i migliori strumenti della tecnologia a disposizione.

    Pietro era come al solito; jeans lisi, una camicia scozzese regalo di una fidanzata inglese della quale non ricordava neppure il nome. Un metro e novantacinque di spalle larghe, l’immancabile codino nella capigliatura ancora folta, arruffata e grigia, un cinquantenne d’assalto, pieno di capelli e con quella faccia scavata, rugosa, maltrattata e contratta che piaceva alle giovani compagne del movimento studentesco negli anni settanta e piace ancora alle giovani operatrici del residenziale che dirige. Arturo, in completo Armani grigio, lo accolse con un sorriso pulito, curato, televisivo, si alzò da dietro il computer e sculettò intorno all’imbarazzante scrivania in ciliegio andando incontro a Pietro come fosse l’amico ritrovato.

    «Pietro, ti trovo in gran forma».

    Pietro rispose con voce profonda da orco buono: «Se lo dici tu... ci credo».

    Arturo scoppiò a ridere mentre lo abbracciava riuscendo ad arrivargli a malapena sotto il mento, piccolo, magro, ossuto quasi, capelli cortissimi e occhi azzurri, trasparenti che tanto piacciono all’assessora Meliconi, responsabile dei servizi sociali del comune di Bologna.

    «Siediti... vuoi un caffè?», chiese Arturo indicando a Pietro una poltrona di pelle nera, alta e lucida.

    «Il caffè va bene, ma perché mi hai chiamato Arturo? Non ci vediamo dalla festa del centro e tu non mi cerchi mai, solitamente ho a che fare con Diana, il tecnico di area, ci sono problemi?».

    Pietro intanto si era seduto sull’alta poltrona di pelle, cercando una posizione comoda su quella specie di trespolo elegante ma poco confortevole.

    «Nessun problema, solo buone notizie, ho intenzione di promuoverti a tecnico di riferimento per la nostra casa più delicata, il centro Porte Aperte».

    «Lì ci sono i casi più difficili... il tecnico della struttura è Mariano, ed è bravo, mi dispiacerebbe scavalcarlo, l’ha creata lui quella struttura, quando

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