Volevo solo fare colpo
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Anteprima del libro
Volevo solo fare colpo - Bruno Sebastiani
BRUNO SEBASTIANI
VOLEVO SOLO FARE COLPO
C 2021 by Bruno Sebastiani
Velletri – Italy
www.bruno-sebastiani.com/
1
"Una cosa che mi preme sottolineare è che Torino, benchè sia considerata una città dedita principalmente all’industria, è invece, per quel che riguarda la cultura, un’autentica miniera di gemme preziose da scoprire, talenti che in alcuni casi non esito a definire sorprendenti per la capacità di emergere tra le pietre di questa città millenaria come sospinti dal basso dal fermento incontenibile che ribolle nel sottosuolo.»
Non so cosa pensare, se questo è l’esordio, così enfatico e ridondante, non voglio immaginare cosa sarà capace di dire in seguito. E pensare che mi ero raccomandata, di più lo avevo pregato quasi con le mani giunte sul petto, di mantenere un tono basso, asciutto, essenziale per la mia cronica difficoltà a parlare in pubblico, come pensa che possa adeguarmi al suo livello?
«…altrimenti non ci sapremmo spiegare la messe vorticosa di iniziative che collocano Torino ai primi posti tra le varie città europee dove i giovani talentuosi si cimentano in ogni campo dell’arte: letteratura, pittura, musica, non c’è settore che non si adorni di esordienti capaci di diventare nel giro di pochi anni protagonisti acclamati. Inoltre, cosa ancor più sorprendente, cosa che solo a Torino può accadere, non c’è settore che non si adorni di protagonisti capaci di imporsi saltando a piè pari la fase del tirocinio, avrete già capito che sto parlando...»
Se non temessi di rovinare le scarpe nuove con tacco a spillo del dodici gli mollerei un calcio negli stinchi, sono tre mesi che mi sorbisco senza fiatare la sua logorrea, ma per la presentazione del mio libro, che poi non è mio, è solo una finzione, avevamo preso accordi per un intervento misurato, una di quelle robe da dopolavoro ferroviario, questo per stemperare sul nascere le velleità del pubblico, settanta, ottanta persone assiepate nella saletta dell’editore Keller, in Via Santa Teresa, che immagino intente ad affilare spade e coltelli per saltarmi addosso e sbranarmi. Lo so, è irrazionale, nessuno ce l’ha con me, non ancora perlomeno, anche per il fatto che nessuno mi conosce. Ma così, al centro della scena, Armando Testa al mio fianco non conta, lui c’è abituato, mi crea disagio. Lui parla e parla e io, aspettando che venga il mio turno quando, alzando la mano come a scuola, cominceranno a farmi domande presumendo che sappia rispondere, mi sento un tale subbuglio in pancia che è come se avessi bevuto una boccetta di Mylujo, il noto sapone liquido effervescente. Magari il Mylujo non c’entra, magari è la fettuccia del reggiseno che sento troppo stretta. Contenitivo, è dalla terribile età dello sviluppo che lo porto contenitivo per il disagio di portarmi appresso, anzi davanti, sporgenti, due tette da terza abbondante. Incresciose, nonostante l’invidia delle compagne di scuola io le ho sempre percepite come due appendici incresciose.
«…avrete già capito che sto parlando di un’esordiente dal talento cristallino, una scoperta prestigiosa per la Keller che l’ha messa sotto contratto appena letto metà del suo dattiloscritto, la giovane e assai graziosa Fiamma Boeri che vedete al mio fianco i cui studi classici costituiscono l’ossatura per quel che riguarda proprietà di linguaggio e stile narrativo di un romanzo storico che non esito a definire straordinario, specie considerando che si tratta del suo primo romanzo: Codice Lubecca.»
Mi sento avvampare e dubito che il fondotinta di cui ho perfino abusato sia capace di mascherare il rossore. Il pubblico applaude, a ben vedere non ne avrebbe motivo dal momento che nessuno ha letto neppure una riga del libro in questione, nondimeno applaude e io mi sento avvampare come se, sbaragliando le più agguerrite concorrenti, mi avessero appena eletto Miss Letteratura 2021. Ma, quasi a tradimento, un terribile dubbio mi assale: se sono tanto generosi da applaudire ancor prima di sentire di che libro si tratta, di cosa parla e in quale periodo storico è ambientato, li immagino similmente generosi a infierire quando Armando Testa, il mio relatore, avrà illustrato l’argomento: una storia d’amore in tempo di guerra, coi tempi che corrono nessuno vuol sentire parlare di guerra, magari di amore sì, ma non di guerra.
«Il libro è ambientato in Inghilterra al tempo della seconda guerra mondiale. L’Inghilterra era un territorio in cui operavano numerose spie tedesche il cui supporto era preziosissimo per le mire di Hitler le cui ambizioni tutti conosciamo: dominare il mondo. Ebbene, per Hitler o più in generale per la Patria, le spie spiavano, nel senso che acquisivano notizie nei modi più disparati: di persona o tramite collaboratori, con la lettura dei giornali e dei bollettini economici, studiando la quantità e la qualità delle merci in circolazione, ascoltando la radio o le conversazioni nei circoli appropriati, inoltre spiavano con macchine fotografiche e cineprese e captando quando era possibile comunicazioni radio del nemico. È ovvio che le notizie, una volta acquisite, dovevano essere trasmesse a una base ricevente per essere portate all’attenzione dei vari organi impegnati nello sforzo bellico, ma solo in rarissimi casi erano trasmesse in chiaro. In genere erano cifrate con l’ausilio di una macchina complicatissima ideata da Arthur Scherbius nel 1918 e poi più volte modificata, si trattava di una macchina il cui nome era quantomeno emblematico: Enigma.»
Altro che macchina, l’enigma è il mio che non mi capacito di come mi sia lasciata trascinare in questa storia, io che a scuola ero brava, ma mai che mi sia venuto in mente di scrivere non dico un romanzo, ma nemmeno una storiella di quelle che si leggono in cinque minuti durante la ricreazione. Quando ne parlava pareva quasi un gioco, una scappatoia per lui e un divertimento per me, così diceva, ma ora qui, davanti a settanta, ottanta persone ci sono io, un’esordiente dal talento… Oh, al diavolo, se queste settanta, ottanta persone sapessero come stanno le cose mi sommergerebbero di contumelie. Ho dato la mia parola e non mi posso tirare indietro, non a questo punto. Ma al pensiero di quello che potrebbe succedere e vedendo che più di qualcuno, da lontano, con lo smartphone, scatta foto, avrei bisogno di controllare quel nonnulla di mascara che ho passato sulle ciglia. Non vorrei risultare inguardabile. Alle brutte potrei accettare di essere accusata di impostura, ma con l’aspetto in ordine e non come mia sorella, due anni più piccola ma di trenta più vecchia, che inorridisce quando mi vede adoperare il mascara come se avesse letto nelle istruzioni che può avere effetti secondari deturpanti favorendo in base all’uso il cancro agli occhi.
«I servizi di intelligence inglesi erano a conoscenza del problema, sapevano che le spie, per le notizie più rilevanti, come quella inseguita per anni della data e del luogo del probabile sbarco degli alleati sul continente europeo, si servivano della macchina Enigma che cifrava in automatico i loro messaggi. Ma nessuno era in grado di decrittarli, anche quando li intercettavano restavano indecifrabili. I più abili crittoanalisti, a dispetto della multiforme formazione ricevuta nella celebre Scuola Governativa di codici e cifrazione istituita già nel lontano 1919 dal comandante Alistair Denniston, si logoravano gli occhi ad analizzare montagne di documenti senza venire a capo di niente. Per l’emergenza, nel 1939 venne istituita una divisione apposita che si trasferì nella residenza di Bletchley Park, circa 75 chilometri a nord-ovest di Londra. Si trattava di una compagine eterogenea, vi facevano parte sia uomini sia donne, in cui operavano linguisti, campioni di scacchi, esperti di cruciverba e anche discipline meno comuni come la papirologia.»
Papirologia, forse solo uno competente in papirologia saprebbe capire come mi sia lasciata invischiare in questa storia, io che volevo solo fare colpo e che alla fine mi sono prestata per questa che se non è una truffa vi somiglia molto. Ma già, un competente, se pure lo trovassi, mi direbbe le stesse cose che da vari mesi a questa parte mi vado dicendo da sola: l’idea che lui mi dovesse qualcosa per la mia disponibilità mi stuzzicava, era un modo per legarlo a me, era un modo per diventare complici per la necessità di custodire un segreto in comune. In principio era sublime vederlo insistere per vincere la mia riluttanza. In cuor mio avevo già deciso per il sì, ma insistevo a mostrarmi irresoluta per farmi inseguire, per forzarlo a venire allo scoperto, a esporsi, a dichiararsi. E lui alla fine, forse perché costretto, si è scoperto e ha tirato in ballo i sentimenti: non per denaro né per la gloria, mi ha detto, se lo avessi fatto sarebbe stato solo per amore, lo stesso amore che lo spingeva a chiedermi di farlo.
Ma ora qui, con un numero impressionante di occhi che mi guardano con insistenza per tentare di capire per quale diavolo di motivo io, coi miei ventisei anni e senza titoli accademici alle spalle, mi sia interessata a una storia spionistica inglese, mi sento talmente fuori posto che vorrei alzarmi e andarmene. Resisto perché ho dato la mia parola. Resisto pure per Armando Testa che, nel caso, benchè sia logorroico, vedendomi sparire non saprebbe cosa dire. Inoltre resisto perché mi sta venendo un dubbio: è vero che tutti mi guardano con insistenza, se potessero si farebbero più vicini per guardarmi meglio, ma stranamente i loro sguardi, e non solo quelli maschili, sembrano indirizzati alle mie tette. Mi costa ammetterlo ma mia sorella mi aveva messo in guardia: il contenitivo invece di migliorare peggiora le cose, per schiacciare schiaccia, altro che se schiaccia. Ma la volumetria delle tette è quella che è, come non la puoi incrementare nemmeno la puoi ridurre a comando, per la qual cosa, impossibilitate ad espandersi, si alzano, si gonfiano come se volessero schizzare fuori e il golfino aderente color albicocca che ho scelto apposta per intonarsi al ramato dei capelli mostra tutto come se fosse trasparente. Lo sapevo che non dovevo sfilarmi la giacca, ma ormai l’ho tolta e l’ho adagiata sulla sedia accanto alla mia. Mi giro, la guardo come per sincerarmi che ci sia ancora e per un istante, un solo minutissimo istante che potrei scambiare per una svista, un abbaglio, un’illusione, nel riflesso di una vetrina in fondo alla sala mi pare di vedere lei, la iena, la vera e sola ragione di tutto questo pasticcio. Al pensiero che pure lei si trovi qui, alla presentazione del mio libro, mi ritorna più contorcente di prima il subbuglio in pancia che nemmeno dieci pastiglie di Gaviscon potrebbero attenuare.
«Nel settembre del 1939, appena la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania, Denniston scrisse al Foreign Office per dire che, siccome non si riusciva a decrittare i messaggi cifrati dalla macchina Enigma, era necessario reclutare uomini con specifica formazione nel campo accademico. Fu così che vennero effettuati reclutamenti anticipati, in particolare presso le università di Cambridge e Oxford. Allo stesso modo vennero assunte donne fidate per lavori di archivio e amministrativi. Un modo curioso utilizzato nel 1941 per assumere personale fu il seguente: venne chiesto al The Daily Telegraph di organizzare una gara di cruciverba a seguito della quale i partecipanti più promettenti vennero contattati in segreto con l’offerta di un lavoro particolare che avrebbe contribuito allo sforzo bellico
. Decine e decine di criptoanalisti furono scelti e presero a lavorare a ritmo continuo nella sede di Bletchley Park. E fu lì che Tom e Claire, i due protagonisti della storia, si conobbero e… Lo so, me lo dicono tutti che parlo troppo, ma arrivato a questo punto mi devo fermare, non posso anticipare lo sviluppo della storia, Fiamma Boeri qui accanto mi fulminerebbe se mi lasciassi scappare un timido accenno a come va a finire vanificando in questo modo l’attesa di gran parte dei lettori. Però posso dire che si tratta di un romanzo storico nella sua forma più pura, il novanta per cento di quanto è riportato è effettivamente accaduto, solo il restante dieci per cento è romanzato e il tutto è reso con ripetuti colpi di scena e una tensione via via crescente che, da qui la maestria della Boeri, incolla il lettore al romanzo fino all’ultima pagina.»
Armando Testa, che ha cinquantasei anni ed è il direttore editoriale della Keller, è il solo a sapere come stanno le cose, anche lui come me si è prestato al gioco ben sapendo che il libro non è mio. Proprio per questo ha insistito che lo editassimo insieme, riga dopo riga, parola dopo parola, virgola dopo virgola, così da farlo mio, da penetrare la necessità delle parole scritte e non altre, da lasciarmi permeare dal suo ritmo, dal linguaggio, dallo stile. Tutti i pomeriggi, per tre mesi di seguito, abbiamo lavorato insieme, fianco a fianco, per cesellare un testo che per la verità aveva pochissimo bisogno di essere cesellato. Se ora mi viene da pensare ai tre mesi passati con Armando Testa è per lo scarto che registro con la situazione attuale. Ora tutti mi guardano con insistenza, ma è forte il sospetto che mi guardino per le tette, mentre lui ha sempre dimostrato una palese distrazione nei miei confronti come donna. Seduti su due sedie vicine, con gli occhi fissi sull’unico computer nel mezzo, letteralmente appiccicati mi verrebbe da aggiungere, non si è mai permesso di sbirciare, di strusciarsi oppure, con la sua aria da gentiluomo, di farmi un complimento. Che sia gay? Se lo è, devo ammettere che lo nasconde bene. E come può venirmi in mente in questo momento, col pubblico che rumoreggia dopo la breve fase introduttiva scambiandosi i primi commenti prima di passare alla fase dialogativa con l’autrice, di sondare la probabile omofilia di Armando Testa? Classico esempio di domanda retorica. Io me lo chiedo, ma già conosco la risposta. L’omofilia di Armando Testa non c’entra, la verità è che vorrei fuggire. Ora che si preparano a farmi domande che immagino una più velenosa dell’altra vorrei solo fuggire. Non potendolo fare materialmente, ecco che mi focalizzo su una cosa che col libro non c’entra niente. E di nuovo mi rammarico per non aver optato per una quarta, mi starebbe lento, è vero, ma almeno mi risparmierebbe i due pompelmi che, simili alle boe di segnalazione che indicano la rotta ai naviganti, indirizzano gli sguardi.
2
A dieci chilometri a ovest di Torino si trova Alpignano, il mio paese, non un granché come paese visto che conta solo 16.000 abitanti. Ma è lì che sono nata ed è lì che vivo insieme ad Adriana, mia madre, e a Gloria, mia sorella che ha due anni meno dei miei ma sembra più vecchia di trenta non per l’aspetto, bensì per il contegno severo, il contegno che indossa alla stregua di una divisa, quella della militante ecologista. Dal 2018, da quando sulla scena internazionale è comparsa Greta Thunberg, sul suo esempio, ha dismesso jeans sdruciti, felpe sbrindellate e giacche militari verde oliva. Ora si veste in modo regolare, per coprirsi e non per rivendicare, con l’accortezza di avere sempre a portata di mano un cappotto antipioggia giallo con tanto di cappuccio, è l’indumento che più di ogni altro caratterizza Greta Thunberg, forse perché vive in un paese dove il cielo è perennemente scuro e piove spesso, anzi nevica. Una sorella del genere, così portata a omologarsi, è proprio quello che ci vuole, magari per contrasto, a sviluppare la voglia di scappare, se non altro per limitare i contatti a una telefonata ogni tanto senza doverci discutere dal vivo tutti i santi giorni, pure la domenica, con contorno di porte che sbattono e rivendicazioni a voce alta sull’uso del bagno, che quando ci entra lei non mi lascia un goccio di acqua calda e tanti saluti al riscaldamento del pianeta. Vorrei scappare, ma con quale cuore potrei lasciare mia madre da sola a lottare per contenere le intemperanze più corrosive di una figlia che del rigetto delle consuetudini sta facendo una crociata? Già, con quale cuore? Spesso me lo domando sapendo benissimo che è solo un falso pretesto. Mia madre, che è saggia più delle due figlie messe insieme, riuscirebbe benissimo da sola. Sono io che mi troverei in difficoltà se dovessi cavarmela da sola. Perciò resto e faccio la mia parte nel tirare avanti la libreria, Amico Libro, così si chiama, l’unica libreria di Alpignano, l’unica fonte di reddito che ci consente di vivere come viviamo, senza lussi e