La sposa perduta
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Info su questo ebook
Michelle Styles
Originaria di San Francisco, California, da quando si è sposata con un inglese, nel 1988, vive nel Northumberland, a poche miglia dal Vallo di Adriano.
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Anteprima del libro
La sposa perduta - Michelle Styles
Immagine di copertina:
Nicola Parrella
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Breaking The Governess’s Rules
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2011 Michelle Styles
Traduzione di Elena Vezzalini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-346-2
Prologo
Warwickshire, 1833
Ogni respiro era come una lama che gli trapassava i polmoni. Gli arti non rispondevano ai suoi comandi. Prostrato dal dolore, Jonathon Ponsby-Smythe si sforzò di reagire all’oscurità che lo chiamava per nome invitandolo tra le proprie braccia. Non era pronto a morire, teneva troppo alla vita.
«Louisa...» Il nome gli sfuggì dalle labbra. Se lei fosse stata al suo fianco, tutto sarebbe stato possibile. Con l’ultima oncia di forza sollevò una mano verso una sagoma femminile indistinta. «Louisa, aiutatemi! Voglio vivere.»
«Jonathon, oh, mio povero, coraggioso Jonathon, dovete riposare! Non vi lascerò morire» gli rispose una voce sdolcinata.
«Voglio Louisa... non voi» protestò lui con voce rauca rivolto alla giovane inglese dalla carnagione chiara e gli immancabili riccioli biondi. «Portatela qui! Louisa!»
«Chi è questa Louisa?» chiese la donna in tono più imperioso. «La conosco?»
«È quella piccola nullità, l’istitutrice, Louisa Sibson.» Jonathon riconobbe la voce brusca della sua matrigna. «Lasciate perdere, Clarissa. Non merita la vostra attenzione.»
«Non è un’istitutrice per me» le contraddisse lui. «Siamo fidanzati. Trovatela.» Ignorando un’improvvisa fitta di dolore, con enorme sforzo Jonathon si sedette nel letto. Fissò le due donne e decise che avrebbero eseguito i suoi ordini. «La voglio qui. Adesso. Dobbiamo sposarci.»
«Jonathon sposerà l’istitutrice?» strillò Clarissa. «Ma avete detto... La mamma mi aveva detto... È tutto combinato, da quando eravamo bambini. Io sono la moglie giusta per lui.»
«Procuratevi la licenza. Voglio sposare Louisa oggi stesso.» Jonathon si accigliò. Quanto tempo era passato da quando aveva perso conoscenza? Qualche ora? Giorni? Scosse la testa per schiarirsi le idee. «Anzi, domani.»
«Ha battuto la testa, Clarissa, sta vaneggiando. Una buona moglie sa essere indulgente di fronte a certi peccatucci. Gli uomini sono fatti così» commentò la matrigna. «Jonny è fortunato a essere vivo, ad avere avuto una seconda possibilità. Mi auguro che sappia trarne frutto.»
«Ma questa Louisa?» si lagnò la giovane. «Non la voglio qui. Proibisco a chiunque di farla entrare in casa mia! Jonathon non può essere innamorato di lei!»
«La dimenticherà» le assicurò Venetia Ponsby-Smythe con filosofia. «È una nullità, niente più che una sgualdrina dalle idee grandiose.» Schioccò le dita. «Pazienza e fermezza trionferanno, mia cara. Tenetelo a mente, e lui tornerà sempre da voi.»
Jonathon si impose di reagire con quel po’ di forza che gli era rimasta. Dimenticare Louisa? Mai. Lei era la sua vita, la sua stella polare. «Trovatela.»
«Riposate, mio caro, più tardi.»
Jonathon cercò di ricordare, ma si scontrò con le pesanti cortine dell’incoscienza. A Louisa era accaduto qualcosa. Era morta? Ferita? Per colpa sua? Una fitta di dolore gli attraversò il petto quando un ricordo affiorò alla sua memoria. Se n’era andata. Avevano litigato e lei si era rifiutata di salire sul calessino a causa della sua guida spericolata. Per dimostrarle che aveva torto, lui era partito spronando i cavalli al galoppo. «Clarissa, fate venire qui Louisa. Adesso.»
Indietreggiando, la giovane lanciò un’occhiata da sopra la spalla. «Non è qui. Ignoro dove si trovi. Ma vi prometto che guarirete, Jonathon. Poi... poi potrete cercarla voi, se vorrete.»
«Trovatela!» gridò lui mordendosi le labbra per il dolore. «Vi scongiuro...»
«Jonathon» si intromise la matrigna, «Louisa Sibson non tornerà. Né ora, né mai. Clarissa vi assisterà finché non sarete guarito.»
«Mai?» Jonathon frugò nei cassetti della memoria. Era tornato indietro per convincere Louisa ad andare con lui? La sua intenzione era stata quella, ma aveva l’impressione che lei non si trovasse sul calessino, quando si era rovesciato. Ogni volta che respirava gli bruciavano i polmoni, il dolore alla testa era lancinante. Ma il ricordo dell’incidente gli sfuggì e fu perduto per sempre. «Era sul calessino? Clarissa, non mentitemi. L’ho uccisa io?»
Singhiozzando, la giovane distolse lo sguardo. Non aveva il coraggio di incrociare i suoi occhi.
«Nessuno sta mentendo, Jonny» rispose la matrigna al posto suo. Ed era la verità.
«Venetia, dov’è Louisa? Cosa le è successo?»
«È uscita per sempre dalla nostra vita, Jonny» dichiarò la donna. «Avete voluto togliervi il capriccio e non avete ascoltato i miei consigli.»
«Morta.»
La matrigna restò in silenzio a lungo. «Non la vedrete più. Jonny, potete ringraziare il cielo. Solo uno sciocco poteva abbandonare un carro dietro una curva cieca.»
Louisa aveva perso la vita nell’incidente. La sua matrigna lo aveva ammesso con un giro di parole tipico del suo modo di parlare. Tale consapevolezza fu come un colpo in pieno petto. L’unica persona al mondo che lui amasse, quella ragazza allegra e radiosa, era morta. Aveva giurato di proteggerla, invece l’aveva uccisa.
«Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai incontrati.»
«Non si può tornare indietro nel tempo, Jonny» dichiarò Venetia con un sguardo feroce. «Potete solo guardare avanti. E ringraziate la provvidenza che vi ha fatto arrivare qui, a casa di Clarissa. Se l’amministratore della fattoria non vi avesse trovato, non oso neppure pensare a cosa sarebbe successo.» Gli posò una mano fredda su una spalla. «Non vi manca niente per tornare a vivere.»
Jonathon si lasciò cadere sui cuscini, invocando la morte affinché venisse a prenderlo per condurlo da Louisa. Ma il suo corpo si rifiutava di morire.
Volse la testa e incrociò lo sguardo gelido della sua matrigna. «Vi sbagliate, Venetia. Senza Louisa, la mia vita non ha più alcun senso.»
1
Newcastle upon Tyne, agosto 1837
«Miss Daphne Elliot.» Solo tre parole, pronunciate da una calda voce maschile, ma sufficienti a far correre un brivido lungo la schiena di Louisa Sibson.
La sua mano si irrigidì sulle soffici pieghe dello scialle di lana di Miss Daphne. Tenne lo sguardo abbassato, augurandosi che l’uomo se ne andasse. Non poteva essere tanto sfortunata al punto da incontrare Jonathon Ponsby-Smythe proprio lì, a Newcastle. Lui era un habitué dei club di Londra, dei salotti alla moda e di Almack’s, non dei concerti di provincia con cantanti di second’ordine. Louisa si impose di respirare. Quell’uomo, amico del nipote di Miss Daphne che aveva promosso il concerto, era un’altra persona, non l’uomo che le aveva distrutto la vita. E lei non era più l’ingenua giovane che un tempo aveva creduto alle promesse di amore eterno sussurrate in un orecchio.
Confusa, udì la voce non più giovane di Miss Daphne rispondere e l’altro replicare. E comprese che in Inghilterra la fortuna non era dalla sua.
Louisa si concentrò sullo scialle.
Qual era il modo giusto per salutare l’uomo che le aveva rubato l’innocenza e distrutto i sogni di fanciulla? Soprattutto quando una delle donne che le aveva offerto la possibilità di iniziare una nuova vita lo salutava con tale entusiasmo?
E, più di ogni altra cosa, come le era potuto sfuggire il suo nome tra quelli dei promotori dei concerti dei Three Choirs?
Valutò le diverse possibilità. Ignorarlo sarebbe stato troppo maleducato e Miss Daphne si sarebbe risentita del suo atteggiamento. Ma non poteva neppure girarsi e fuggire via. Doveva pur esserci una soluzione, anche se in quel momento la sua mente era vuota.
«Miss Sibson, va tutto bene?» si informò Lord Furniss, il nipote di Miss Daphne. Ma prima che lei potesse replicare, la gigantesca mano di lui si impadronì della sua. «Mi è bastato uno sguardo per capire che qualcosa non va. Siete impallidita. A una donna bella come voi non è concesso svenire.»
Louisa ritrasse la mano e sollevò lo sguardo sul viso cordiale del gentiluomo. «Oh, state tranquillo, milord! Lascio le crisi isteriche e gli svenimenti alle debuttanti, tanto esperte in questo genere di cose.»
«Come sempre riuscite a stupirmi, Miss Sibson, ma non dovete fare l’eroina.» Arrossendo, Lord Furniss si schiarì la voce. «Chesterholm, devo lasciarvi. Miss Sibson protesta troppo, non sta bene.»
«Godo di ottima salute, invece.» Ben salda sui piedi, Louisa guardò gli occhi color acquamarina del suo incubo peggiore, del suo sogno proibito.
«Che piacere rincontrarvi, Miss Louisa Sibson» la salutò l’amico di Lord Furniss tendendole la mano curata. A quel punto Louisa seppe che le sue preghiere non sarebbero state esaudite. «Un evento davvero inaspettato.»
Lei strinse tra le dita lo scialle di Miss Daphne. Di regola, avrebbe dovuto mettere su peso. O recare dei segni sul viso, qualcosa che testimoniasse la sua malvagità. Invece Jonathon Ponsby-Smythe era più bello che mai, i capelli castano dorati che contrastavano piacevolmente con gli occhi chiari. Un tempo quel volto con la fossetta sul mento le era apparso angelico, ma in quel momento notò la piega sardonica e la durezza che si celavano dietro il sorriso. Era quello di un seduttore spietato.
Ai gentiluomini bisogna concedere certi piccoli peccati, purché non interferiscano con il rapporto coniugale. Louisa ricordava ancora il tono di voce di Mrs. Ponsby-Smythe quando le aveva spiegato perché la stava licenziando su due piedi, senza referenze, e senza darle la possibilità di attendere il ritorno di Jonathon.
Inspirò a fondo e raddrizzò le spalle. Aveva trovato la soluzione. Avrebbe affrontato quell’incontro indesiderato con dignità ed equilibrio. Avrebbe dimostrato a lui e al resto del mondo che Jonathon Ponsby-Smythe non significava niente per lei. Gli anni trascorsi in Italia le erano serviti. Che trovasse pure un’altra goffa istitutrice da abbindolare con le sue bugie: lei adesso era una donna agiata, con una posizione sociale e una buona reputazione.
«Mr. Ponsby-Smythe» lo salutò chinando il capo. Ma in quell’istante una parte di lei la tradì e ricordò le dita di lui che scivolavano sulla sua pelle procurandole brividi di piacere mentre si salutavano, nonostante il litigio. Ingenuamente Louisa aveva pensato che lui volesse offrirle il mondo, invece si era trattato di un’unica notte. Quando mai, infatti, il figlio primogenito di una nobile famiglia sposava l’istitutrice spiantata della sua famiglia? Accadeva solo nelle fiabe.
«Lord Chesterholm, Louisa» squittì Miss Daphne, le cui gote avvizzite si erano tinte di rosa per l’eccitazione. «Non siete aggiornata. Il giovane Jonathon è diventato quarto Barone di Chesterholm e ha preso il nome di Fanshaw per rispetto del defunto prozio. Chesterholm, Louisa.»
Lei incrociò le braccia e si rimproverò fra sé. Era facile cambiare nome. Non vi aveva riflettuto quando aveva scorso in fretta la lista dei promotori del concerto. Se solo lo avesse saputo... avrebbe trovato una dozzina di scuse per non andare e partire all’istante per Sorrento, anche se Miss Daphne non aveva ancora terminato il viaggio sentimentale nei luoghi della propria infanzia. «Perché avete cambiato nome, Lord Chesterholm?»
«Per volontà del mio prozio, lui non desiderava che il suo nome scomparisse.» Un sorriso arrogante si dipinse sul volto di lui. «Mi faceva piacere accontentarlo, Miss Sibson.»
«Che importanza ha il motivo per cui l’ha fatto?» interloquì Miss Daphne in tono perplesso. «Siete stata sfacciata, Louisa, ragazza mia, con un uomo che avete appena incontrato. Siete certa di sentirvi bene? Non vi ho mai visto comportarvi così.»
«La stimata Miss Sibson non vi ha accennato alla nostra amicizia? Molto negligente da parte sua.» Negli occhi di Jonathon si accese una luce crudele mentre si portava una mano di lei alle labbra. «Miss Sibson e io ci conosciamo. Siamo vecchi amici, non è vero, Louisa?»
Erano passati quattro lunghi anni, eppure, quando la chiamò per nome, pronunciandolo come nessun altro, lei si pervadere da un piacevole calore. Che si affrettò a ignorare. «Ho avuto l’onore di insegnare alla sorella più giovane di Lord Chesterholm, diversi anni fa... prima di partire per l’Italia» ammise.
«È vero, fra le altre cose eravate l’istitutrice di mia sorella.» Le strinse la mano mentre le sue dita accarezzavano la pelle morbida del polso nel punto in cui il guanto finiva.
Con un movimento brusco Louisa tentò di sottrarre la mano. Doveva lasciarla andare, era una questione di decenza. Lui sapeva perché lei era partita. Che vigliacco! Non si era nemmeno dato la pena di rispondere alle sue lettere, né a quella che gli aveva spedito dopo essere stata licenziata né alla successiva, ancora più disperata, scritta quattro mesi dopo, nella quale lo informava della propria, delicata condizione. Jonathon aveva delegato alla matrigna il compito di troncare i rapporti con lei in modo irrevocabile.
Dopo anni, Louisa sentiva ancora risuonare nelle orecchie il tono gelido di Venetia Ponsby-Smythe mentre la informava che la sua relazione con Jonathon era un’unione impossibile. A giorni si attendeva l’annuncio del matrimonio del suo figliastro con la nobile Clarissa Newton, sua fidanzata fin dalla culla. Louisa e il figlio che aspettava dovevano farsi da parte e rifarsi una vita... per il bene di tutti. Venetia Ponsby-Smythe aveva aggiunto che, pur comprendendo la sua situazione, tali evenienze accadevano solo alle donne poco serie. L’aveva messa in guardia: sapere che lei aspettava un bambino non avrebbe fatto cambiare idea a Jonathon. E poi, avrebbe potuto dimostrare che il bambino era effettivamente suo? Alla fine, quando Louisa era stata sul punto di fuggire via, Venetia Ponsby-Smythe l’aveva richiamata e si era offerta di pagarle un viaggio per l’Italia, come se si sentisse responsabile del fatto che il suo figliastro avesse rovinato una dipendente. Aveva posto un’unica condizione: Louisa non sarebbe mai tornata, né le avrebbe più chiesto niente. Di fronte alla prospettiva della miseria, lei aveva accettato, arrivando al punto di baciare la mano della donna.
«È curioso che conosciate la deliziosa amica di zia Daphne, Chesterholm.» La voce di Lord Furniss riportò Louisa al presente. «Chi l’avrebbe mai detto? Miss Sibson, ignoravo che aveste dei segreti per me.»
«La nostra Louisa è una donna molto misteriosa» dichiarò Jonathon inchiodandola con lo sguardo. «Un giorno, Miss Sibson, dovrete spiegarmi come si può risuscitare dai morti. Mi sono recato sulla vostra tomba non più tardi di tre mesi fa.»
Miss Daphne e Lord Furniss si scambiarono uno sguardo incredulo, mentre nella sala cadde il silenzio. Louisa desiderò intensamente che la terra la inghiottisse, facendola scomparire per sempre. Tutti gli sguardi erano puntati su di lei, come se fosse responsabile di quel pasticcio.
Morta? Una tomba con il suo nome? Si sentì girare la testa. In un certo senso era come se fosse morta davvero per lui, aveva persino proibito alla sua amica Daisy Milton di riferire a Jonathon dove era andata, qualora lui glielo avesse chiesto. Ma non era quello che lui intendeva. L’aveva creduta morta davvero, sepolta.
«Vi sbagliate, Chesterholm. Per fortuna, Miss Sibson è viva e gode ottima salute» tuonò Lord Furniss rompendo il silenzio. «Ha assistito la mia prozia durante la sua ultima malattia. Per zia Daphne è un vero sostegno. Chi può essere stato tanto crudele da darvi una notizia simile? Deve esserci stato un errore.»
Quando Lord Furniss tacque, di colpo la stanza si riempì di voci.
Louisa guardò ammirata il nipote di Miss Daphne. L’aveva difesa, un piccolo gesto che per lei significava molto. Non era sola al mondo, aveva degli amici.
«È evidente che le voci che danno Miss Sibson per morta sono prive di fondamento» affermò Jonathon in tono seccato. «È un fatto deplorevole.»
«Io sono viva, lo sono sempre stata» dichiarò Louisa a denti stretti. «Non so niente di una tomba, deve essere di qualcun altro.»
«Tuttavia, è una sorpresa.»
«Mi auguro sia gradita» intervenne Miss Daphne agitando il ventaglio. «Louisa è un tesoro di ragazza, per mia sorella era come una figlia, quella che non ha mai avuto.»
«Non mi aspettavo di incontrare di nuovo Miss Sibson su questa terra.» Con deliberata lentezza Jonathon esaminò Louisa, partendo dall’elaborata acconciatura ‒ una corona di trecce rosso rame ‒ fino all’orlo dell’abito da sera di seta di una delicata sfumatura di color malva.
Louisa si sentì inondare di nuovo dalla sensazione di calore. Lei era superiore. Ogni volta che si svegliava, di notte, ricordando la passione che li aveva uniti, sempre presente nella sua mente, si ripeteva la stessa promessa: Jonathon non significava niente per lei e le regole che si era data avrebbero protetto la sua reputazione. Non sarebbe più stata la donna impetuosa talmente bisognosa d’amore da credere alle promesse di amore eterno di un libertino.
«Nemmeno io, Lord Chesterholm» ammise inclinando la testa. Le regole per vincere al gioco erano semplici: mostrare gelida cortesia e nascondere i turbamenti interiori.
«Quattro anni, Louisa» pronunciò lui con quella voce dalla cadenza lenta e seducente che le faceva correre dei brividi lungo la schiena. «Dove vi siete nascosta?»
Louisa diede un altro strattone e Jonathon lasciò finalmente andare la sua mano, ma con una tale rapidità che la costrinse a indietreggiare di un passo. Un accenno di sorriso gli incurvò le labbra. L’aveva fatto apposta e godeva del suo imbarazzo. «In un certo senso, Lord Chesterholm, è stato solo un istante, in un altro un’eternità.»
«Non parlate mai del vostro passato, Louisa» si intromise Miss Daphne posandole sulla spalla la fragile mano mentre la guardava con occhi lievemente accusatori. Sentendosi a disagio, lei si spostò. L’ultima cosa che desiderava era dare un dispiacere a Miss Daphne. «Non avevo idea che conosceste i Ponsby-Smythe. La madre del giovane Jonathon era