Il cadavere nella palude
Di Joy Ellis
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Info su questo ebook
Autrice del bestseller Dieci piccoli indizi
L’ispettore Nikki Galena ha fatto carriera grazie alla determinazione e all’intuito. Segnata da una tragedia familiare, conduce le indagini in modo spesso solitario, non rinunciando a volte alle maniere forti. Il sergente Joseph Easter sta attraversando un momento difficile: il ritrovamento del cadavere di un uomo, giustiziato in un angolo desolato della città di Greenborough, ha risvegliato in lui terribili ricordi. È convinto che un incubo del passato sia tornato a minacciare il suo lavoro e persino la sua vita. La cosa peggiore è che gli alti ranghi della polizia dubitano di lui, costringendolo a una corsa contro il tempo per trovare chi lo perseguita. Ma le paludi che circondano Greenborough non sono certo un terreno in cui è facile muoversi: le abitazioni sono molto distanti tra loro, le nebbie insidiose e la copertura telefonica spesso assente. E, soprattutto, non sono un posto sicuro, quando sai che, nascosto nell’ombra, qualcuno ti osserva.
Un’autrice da oltre 1 milione e mezzo di copie
La palude è il luogo perfetto per nascondere ogni indizio…
«Un’Agatha Christie moderna: personaggi complessi e intrecci intelligenti.»
«Si fa presto ad affezionarsi alla detective Nikki Galena.»
«Come tutti i libri di Joy Ellis è impossibile smettere di leggerlo. Se cercate un thriller che si divora una pagina dopo l’altra, che vi tiene incollati alla sedia e così presi da saltare al minimo rumore, lo amerete di sicuro.»
Joy Ellis
è nata nel Kent, ma ha trascorso la maggior parte della vita a Londra. Adesso si dedica alla scrittura e vive nel Lincolnshire con la compagna Jacqueline, una ex poliziotta decorata che ha ispirato la protagonista dei suoi romanzi. Dopo Dieci piccoli indizi, Il cadavere nella palude è il secondo romanzo di una serie che ruota intorno alle indagini di Nikki Galena.
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Anteprima del libro
Il cadavere nella palude - Joy Ellis
2170
Copertina © Sebastiano Barcaroli
Titolo originale: Shadow Over The Fens
Copyright © 2016 Joy Ellis
All rights reserved
Traduzione dall’inglese di Micol Cerato
Prima edizione: marzo 2019
© 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-2890-6
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Joy Ellis
Il cadavere nella palude
A Rosemary Keywood e Rachel Appleby
Indice
Capitolo uno
Capitolo due
Capitolo tre
Capitolo quattro
Capitolo cinque
Capitolo sei
Capitolo sette
Capitolo otto
Capitolo nove
Capitolo dieci
Capitolo undici
Capitolo dodici
Capitolo tredici
Capitolo quattordici
Capitolo quindici
Capitolo sedici
Capitolo diciassette
Capitolo diciotto
Capitolo diciannove
Capitolo venti
Capitolo ventuno
Capitolo ventidue
Capitolo ventitré
Capitolo ventiquattro
Capitolo venticinque
Capitolo ventisei
Epilogo
Elenco dei personaggi
Capitolo uno
Mentre chiudeva a chiave la porta della sua casa nelle Fens, l’ispettore Nikki Galena sentì un brivido di emozione. Lasciò spaziare lo sguardo sull’ampia distesa di paludi remote, inspirò a fondo assaporando la fresca aria salata e sorrise. Era bello trovarsi di nuovo a casa.
Dall’altra parte di Cloud Fen poteva vedere la nebbia diradarsi e una mattina verde-oro svegliare lentamente gli acquitrini salmastri con la sua luce intensa e limpida. Fece un passo nel giardino e si chiese che cosa avrebbe portato con sé quell’alba, oltre all’arrivo del suo nuovo sergente. Sorrise ancora di più. Aveva atteso a lungo quel momento ed era qualcosa che la riempiva tanto di gioia quanto di terrore.
Il sergente Joseph Easter stava per unirsi alla sua squadra del CID, il Dipartimento di Investigazione Criminale. Era anche il suo primo giorno di lavoro dopo essere stato ferito in servizio. Nikki non si illudeva che quel nuovo impiego si rivelasse una passeggiata, perché non lo sarebbe stato. Avrebbe rappresentato un banco di prova per entrambi.
Sperava solo che l’uomo fosse adatto al ruolo quanto sosteneva.
Con la ghiaia del vialetto che scricchiolava sotto i piedi, raggiunse l’auto e borbottò una breve preghiera, ringraziando il cielo che, per una volta, il commissariato fosse insolitamente tranquillo. Almeno non avrebbe dovuto mandare il poveretto allo sbaraglio.
«Finalmente! Nikki! Cominciavo a pensare che non ti avrei più rivisto!».
Un uomo alto e dai tratti marcati, con addosso i pantaloni di una tuta, una maglietta da rugby di un rosso acceso e uno zaino nero, frenò la bici, smontò in fretta e le rivolse un caldo sorriso.
«Martin! Come te la passi?». Nikki accettò volentieri il suo abbraccio amichevole, poi lo spinse indietro e lo fissò. «Ehi, stai benissimo!». Lo conosceva da così tanti anni che aveva perso il conto. Era il suo vicino più prossimo, sebbene vivesse a circa mezzo chilometro di distanza lungo una stretta stradina che portava alla palude.
Lui le sorrise raggiante. «Sto bene, soprattutto dopo aver avuto tue notizie. Ormai è qualche settimana che vedo i muratori da queste parti. Mi hanno detto che volevi tornare a vivere qui».
«Era il momento di tornare a casa, Martin». Nel pronunciare quelle parole, Nikki si rese conto che era vero. Era stata via troppo a lungo. Bloccata in città, a dare la caccia agli spacciatori in ogni momento di veglia. Si era costretta a continuare finché non aveva quasi scordato come fosse la vita prima che quella crociata contro le droghe consumasse ogni parte della sua esistenza.
«Ne sono lieto». Scostandosi dagli occhi una ciocca di ondulati capelli grigio ferro, Martin Durham guardò con aria d’apprezzamento il vecchio casale di Nikki. La pittura fresca scintillava nel sole mattutino. «Ottimo lavoro! Da queste parti il tempo non fa prigionieri. Cominciavo a chiedermi se il vento dell’Est te l’avrebbe portata via!».
«Era in pessime condizioni, vero?». Di colpo, Nikki si sentì terribilmente in colpa per aver trascurato tanto la vecchia casa di famiglia. «Ma quest’inverno ti prometto che vedrai di nuovo il fumo alzarsi dal camino». Lanciò un’occhiata all’orologio. «Oh, cavolo! Non voglio scappare, ma la polizia delle Fens chiama. Perché non passi a prendere un caffè, questo fine settimana? Così potremo aggiornarci».
«Grazie, lo farò. In effetti qualche notizia interessante da darti ce l’ho, ma può aspettare fino ad allora. Oh, e…», guardò il cancello d’ingresso battuto dal vento, «vedo che i tuoi uomini non sono riusciti ad arrivare fin qui. Domani pensavo di dare una mano d’impregnante alle mie staccionate, potrei fare anche questo, se serve».
«Se non ti secca, fantastico». Nikki premette il pulsante di chiusura centralizzata dell’auto. «Ma ricordati di dirmi quanto ti devo, quella roba costa una fortuna».
«Non penso che un cancello mi manderà in bancarotta! Consideralo un regalo di bentornata». Con un cenno di saluto, l’uomo rimontò in bici, si issò lo zaino sulla spalla e pedalò via in direzione del suo cottage.
Nikki scivolò nell’auto, si appoggiò allo schienale e si concesse un lungo sospiro di sollievo.
Tornare a casa non era stata una decisione semplice, ma il suo ultimo caso aveva cambiato molte cose nella sua vita. Adesso, dopo aver avuto un po’ di tempo per riflettere, sapeva che le aveva lanciato una fune di salvataggio. La sua missione di ripulire Greenborough dalle droghe in stile giustiziera solitaria le era quasi costata la carriera, e stava cominciando a trasformarla nella poliziotta più ottusa e malvista della zona. E lei non voleva essere quel tipo di donna. Anche solo rivedere Martin le aveva ricordato quanto le persone potessero essere premurose. Forse il mondo non era popolato solo da stronzi malvagi, dopotutto.
Mentre la figura alta con la maglietta scarlatta dell’amico spariva pian piano dalla sua vista, si sentì riempire da una sorta di pace. Era davvero bello essere tornata. Il suo posto era lì, in quello strano e remoto mondo acquatico, con le sue grandi distese di acquitrini pullulanti di vita selvatica e un cielo grande, grandissimo, che incombeva sopra ogni cosa.
Con un ultimo sguardo alla vecchia casa, Nikki girò la chiave nel motore e imboccò la stradina. Finalmente era pronta ad affrontare qualunque cosa il commissariato di Greenborough avesse voluto metterle di fronte. Sarebbe stata una bella giornata.
Mentre Nikki cominciava il suo viaggio in auto da Cloud Fen, Joseph Easter toccò con i polpastrelli la parete piastrellata di turchese della piscina e riemerse sfondando la superficie d’acqua scintillante.
Cinquanta vasche. Ancora molto meno della distanza che percorreva un tempo, ma ci stava arrivando. Rimase un attimo dritto, riprendendo fiato. Ogni giorno vedeva miglioramenti. Adesso riusciva a fare ben quindici chilometri con il programma più duro della cyclette senza troppo dolore. Si girò sul dorso e galleggiò per un po’. E ormai non era neanche più dolore, o almeno, nulla in confronto a quello che l’aveva tormentato subito dopo l’operazione.
Lanciò un’occhiata all’orologio. Non voleva essere in ritardo il primo giorno nella sua nuova centrale. Nuotando senza sforzo tornò alla scaletta e uscì con riluttanza dall’acqua tiepida. Fino a quel giorno aveva trascorso quasi due ore in palestra e in piscina ogni mattina, facendo il possibile per tornare abbastanza in forze da superare la visita che l’avrebbe riammesso al lavoro.
Entrò nello spogliatoio a passo felpato, recuperò l’asciugamano e l’astuccio da toilette dall’armadietto e andò a fare una doccia. Il medico della polizia l’aveva lasciato tornare di malavoglia, con qualche riserva riguardo ai compiti che avrebbe dovuto evitare per qualche tempo, ma nel complesso era stato un buon risultato. La sua unica preoccupazione era che, sebbene il suo corpo si stesse riprendendo, non aveva modo di sapere come la sua mente avrebbe reagito a una situazione inaspettata. E non l’avrebbe saputo fino a un nuovo disastro. Poteva testare i muscoli e la sua resistenza fisica ma, per quanto ne sapeva, non esisteva un esame per mettere alla prova le sue condizioni mentali. Il che significava che aveva poco senso preoccuparsene. Era finalmente libero di unirsi alla squadra dell’ispettore Galena, dunque meglio farlo e basta. Sorrise tra sé mentre l’acqua insaponata gli scrosciava lungo la schiena. Nella tana del leone.
Massaggiandosi lo shampoo sui capelli castano chiaro, ricordò il suo primo incontro con il nuovo capo. Invece di dargli il benvenuto al suo incarico temporaneo, Nikki era stata acida, impaziente e maledettamente scortese. Joseph rise ad alta voce, poi spinse la testa sotto il getto di acqua calda. Perché nonostante tutto, lei gli era piaciuta. Be’, forse piacere
non era il termine esatto, ma aveva riconosciuto una poliziotta coscienziosa e onesta sotto la corazza dura come l’acciaio. Non avrebbe potuto essere più felice quando gli aveva chiesto di lasciare il suo vecchio commissariato per lavorare in modo permanente con lei a Greenborough.
Si asciugò con il telo da bagno e si rivestì. A un certo punto, durante l’ultimo caso su cui avevano lavorato insieme, avevano forgiato una sorta di legame inespresso. Lui l’aveva sentito, ed era piuttosto convinto che l’avesse sentito anche lei. Altrimenti perché gli avrebbe chiesto di trasferirsi da Fenchester?
Joseph si asciugò i capelli e si fissò nello specchio. Esteriormente non aveva nulla di diverso, ma sapeva di essere cambiato nel profondo. Guardò il proprio riflesso. Negli occhi vide la stessa intensità di sempre, ma forse adesso c’era anche qualcos’altro? Si costrinse a sorridere per scacciare l’umore tetro che minacciava di travolgerlo. Forse era solo che lo specchio dello spogliatoio aveva bisogno di una bella ripulita.
Raccolse le sue cose, le infilò nel borsone della palestra e s’incamminò lungo il corridoio che portava all’atrio, pensando al suo nuovo posto di lavoro. Non era così stupido da credere che lavorare con l’ispettore Galena sarebbe stato semplice. Le loro personalità erano l’una l’opposto dell’altra, ma in qualche modo i differenti approcci li portavano, tramite strade diverse, alle stesse conclusioni. E grazie a quello avrebbero preso i cattivi.
Mentre le porte automatiche si aprivano con un fruscio, sorrise tra sé. Avevano tutte le carte in regola per essere una bella squadra. La sua espressione si rabbuiò. Sempre che entrambi permettessero al passato di restare al suo posto e non strisciare nel presente.
Quando uscì, i raggi del sole gli scaldarono il volto e gli tornò il sorriso. Non era il momento di riesumare vecchie sciocchezze. Quel giorno era dedicato ai nuovi inizi, e se non si fosse sbrigato le prime parole del suo nuovo capo sarebbero state una lavata di capo per il ritardo.
Attraversò a passi lunghi il parcheggio, aprì il bagagliaio e vi gettò dentro il borsone. Mentre lo richiudeva, notò che qualcuno gli rivolgeva un saluto amichevole. Alzò la mano in automatico, poi fece il giro dell’auto e si sedette al volante.
L’altra nuotatrice mattutina era una donna bruna che aveva già intravisto alcune volte in passato. Era magra, ma non ossuta. Appariva slanciata e in forma come un’atleta. Lui si fermò e la guardò avanzare verso l’entrata della palestra. Aveva una falcata sicura, e muoveva gli arti con fluidità aggraziata. Joseph si trovò a fissarla spudoratamente attraverso il parabrezza, e per un uomo che aveva sempre sostenuto che la bellezza non fosse l’unica cosa importante, fu un po’ uno shock. L’aspetto di quella donna era senz’altro molto attraente.
Si riscosse. In tutta la sua vita non era mai arrivato tardi al lavoro, e non aveva intenzione di cominciare quel giorno. Con uno sbuffo irritato avviò il motore, tolse il freno a mano e uscì sgommando dal parcheggio, ma non prima di lanciare un’ultima occhiata allo specchietto per guardare la donna bruna scomparire nell’edificio.
Joseph non era stato sicuro di cosa aspettarsi dalla squadra, ma quando entrò nel Dipartimento di Investigazione Criminale fu accolto da un coro scalmanato di fischi e un assortimento di strette di mano e pacche sulle spalle.
«È bello rivederla, sergente!». Il sorriso tagliava quasi in due il volto dell’agente Cat Cullen.
«Fantastici capelli!». Joseph fissò a occhi sgranati le corte punte bionde e la striscia da mohicano verde smeraldo che dalla fronte della ragazza andava fino alla nuca.
«Fighi, vero? Il capo mi ha mandato a sporcarmi le mani con un po’ della gioventù di Greenborough. Un piantonamento sotto copertura, sa».
«Con te non posso mai essere del tutto sicuro, Cat. I tuoi travestimenti ti si addicono fin troppo!».
«Sergente! Come va?». Imponente come al solito, Dave Harris si fece largo tra la folla e gli afferrò la mano, scuotendola su e giù con gioia intensa.
«Sto bene, amico mio. E sono felice di essere qui, te lo assicuro. A un certo punto non ne puoi proprio più di guardare vecchi film!».
«E così, sergente, alla fine hai davvero deciso di unirti a noi». La voce di Nikki Galena soffocò all’istante il chiacchiericcio.
Joseph non l’aveva neanche vista entrare. «Sì, signora. Ma solo a patto che il nostro prossimo caso sia decisamente meno rischioso dell’ultimo».
Per un attimo l’ispettore assunse un’espressione addolorata, poi scrollò le spalle. «Non ci sono garanzie in questo tipo di lavoro, Joseph. Speriamo solo che il fulmine non colpisca due volte, giusto?». Gli lanciò un raro sorriso e tese la mano. «Benvenuto nella squadra. Siamo felici di averti a bordo».
La stanza riecheggiò di commenti d’approvazione, e mentre le stringeva la mano, Joseph sentì un groppo in gola. Aveva lavorato con quel gruppetto di persone per così poco tempo durante il suo incarico, eppure erano già dei compagni fidati. Certi casi avevano quell’effetto, avvicinavano le persone e creavano legami fortissimi.
A fatica cercò di formulare una risposta, ma le parole si rifiutarono di uscire.
«D’accordo, gente!». Fu il capo a salvarlo. «Basta scherzare! Levatevi di torno e andate ad acciuffarmi qualche criminale!». Lo studiò con attenzione e lui si chiese che cosa stesse pensando. «Direi di prenderci un caffè e fare quattro chiacchiere nel mio ufficio. Offri tu».
L’ispettore Galena si voltò e uscì a passo spedito, e Joseph sorrise tra sé. Aveva sentito dire che si era addolcita, e si era chiesto come una simile metamorfosi avesse potuto realizzarsi. Adesso lo sapeva. Era un cambiamento sottile. Urlava ancora contro tutti, ma nei suoi occhi c’era un luccichio quasi impercettibile. La Vergine di ghiaccio era ancora al comando, ma mostrava un accenno di scioglimento, un ammorbidimento degli spigoli che le donava.
Mentre si affrettava obbediente verso la macchinetta, Joseph continuò a sorridere.
Dietro le porte chiuse del suo ufficio, Nikki si concesse di abbandonare la facciata. «È bello riaverti qui, Joseph. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesta…». Il resto rimase non detto.
«Anch’io, signora». Joseph fece un respiro profondo e lo trattenne per un attimo. Poi espirò lentamente e disse: «Ma eccomi di nuovo qua».
«E questa volta come membro della squadra a tutti gli effetti». Nikki bevve un sorso di caffè. «Ti trasferirai in città?»
«Non ne sono ancora sicuro. Voglio fare tutto per bene, non prendere la prima cosa che mi capita davanti». Affondò una mano tra i capelli e si appoggiò allo schienale della sedia. «Mi sento un po’ diverso da quando sono uscito dall’ospedale. Credo che resterò al B&B per qualche tempo. La mia stanza non è male, e in realtà mi sto quasi affezionando all’arredamento stile anni Sessanta della signora Blakely».
Nikki annuì. «Credo che non correre troppo sia saggio».
«Sì. Penso che metterò in vendita il mio appartamento di Fenchester, poi terrò il ricavato da parte finché non sarò pronto a fare una mossa».
«Be’, se resti bloccato, puoi lasciare quello che vuoi a Cloud Cottage Farm. A parte la casa in sé, ho delle dépendance piuttosto utili, e sono tutte asciutte e sicure».
«Grazie, signora. Potrei accettare l’offerta». La guardò speranzoso. «Allora, c’è qualche novità interessante qui al CID?»
«Prima di aggiornarti sulla nostra situazione lavorativa, devo dire una cosa». Nikki si sporse in avanti. «Affronterò l’argomento solo questa volta, poi continueremo come sempre, d’accordo?». Non gli diede modo di replicare, proseguendo subito: «Se qualcosa ti crea problemi, o è troppo pesante, voglio che tu sia del tutto sincero con me, e troveremo un modo per aggirare il problema. Non voglio mosse da grande eroe, e nemmeno che tu faccia il martire, intesi?».
Joseph annuì riluttante. «Forte e chiaro, capo. Ma onestamente, non ho passato settimane a rimettermi in forma con fisioterapia e palestra per poi mandare tutto a monte appena tornato al lavoro». La guardò con quei suoi occhi insopportabilmente sinceri, e Nikki fu costretta a credergli.
«D’accordo. Fine della predica. Qualche domanda?»
«Non me ne viene in mente nessuna, anche se sono entusiasta di vedere che Dave Harris adesso è al CID».
«Ha superato alla grande il colloquio di ammissione, per la mia felicità. La sua esperienza e la sua conoscenza della zona sono una risorsa importante».
Joseph annuì. «E poi è davvero un brav’uomo. Allora, signora, su cosa stiamo lavorando al momento?»
«Nulla di pesante, se non conti la montagna di scartoffie prodotta dal mese scorso». Lei storse la bocca, poi fece scivolare un fascicolo sottile sulla scrivania. «A dirla tutta, non ricordo che la situazione sia mai stata così tranquilla». Aprì la cartellina. «Una serie di piccoli incendi. Molto probabilmente dolosi».
«Ragazzini?»
«Così pensavamo, ma adesso non ne siamo più tanto sicuri. L’ultimo ha distrutto un box nel retro del grosso garage di Monk Street. Fortuna che Trumpton è arrivato in fretta, o avrebbe potuto esserci un incidente gravissimo, tra le decine di motori e i serbatoi di petrolio».
Joseph si accigliò. «Cosa vi fa pensare che non siano ragazzini?»
«Il funzionario che indaga sull’incendio ha detto che hanno usato un acceleratore, ma giura che non fossero semplici teppisti annoiati. Dice che aveva qualcosa di professionale
».
«Un piromane vero e proprio non promette bene, signora».
Nikki annuì. «Lo so. Ma è successo due settimane fa, tre incendi in altrettante notti, e poi più nulla. Non so se essere sollevata o preoccupata». Chiuse la cartellina. «Oltre a quello, Cat e Dave stanno indagando su una piantagione di cannabis, ma sono vicini a una conclusione, e poi abbiamo le solite cose: rivendita di auto rubate, infrazione di domicilio, l’onnipresente traffico di droga, qualche frode, ma nulla che sia degno di nota».
«In sostanza sempre la stessa solfa, a parte gli incendi». Joseph si stiracchiò. «E quale di queste appetitose delizie intende affidarmi, signora?»
«In effetti nessuna», sospirò lei. «Be’, non per il momento, almeno. Starai con me per qualche giorno».
«Che genere di indagine?»
«Nessuna indagine». Espirò, e si chiese come illustrare il suo problema più recente. «Il commissario vuole il nostro aiuto. Sono arrivati i revisori, e a parte affogare in un mare di modulistica, qualche anonimo burocrate in un comodo ufficio ha deciso che la nostra zona è ben al di sopra della media nazionale di morti improvvise». Si sporse in avanti e appoggiò i gomiti sulla scrivania. «Hanno una paura fottuta che i media trovino le statistiche e ci si buttino a pesce. Il commissario vuole che le controlliamo, e in fretta».
Joseph parve perplesso. «Ma noi cosa c’entriamo? È un problema medico, no?»
«All’inizio lo pensavo anch’io, ma guardando meglio mi sono accorta che non si tratta solo di morti improvvise
, dove i dottori firmano il certificato e basta. C’è un gran numero di casi che noi abbiamo classificato come morti sospette
, coinvolgendo la scientifica».
«Con quale risultato?»
«In genere sono state dichiarate suicidi, e pur non avvicinandosi neanche lontanamente ai livelli visti qualche tempo fa in Galles, è comunque inquietante».
«Pensavo che il tasso di suicidi nel Regno Unito fosse in calo».
«È quello che sostiene l’ufficio di Statistica del Governo. In effetti, qualche anno fa si diceva che l’Inghilterra orientale avesse uno dei tassi più bassi dell’Inghilterra e del Galles. Penso sia per questo, forse, che i nostri dati spiccano così tanto».
Lui corrugò la fronte. «Questi dati riguardano qualche gruppo demografico in particolare?».
Nikki scosse piano la testa. «No. E non riesco a trovare alcun genere di comune denominatore». Finì il suo caffè, poi disse: «Scusa, so che non è lavoro da CID, ma il commissario Bainbridge ha davvero bisogno che lo aiutiamo a trovare qualche risposta per il suo piccolo burocrate».
Joseph scrollò le spalle. «Allora facciamolo».
«Non è troppo deprimente per te, vero? Tutto considerato».
Lui le rivolse un caldo sorriso, e lei comprese perché quel giorno ci fossero così tante donne dagli occhi languidi che sbavavano in giro per la centrale.
«Non ho problemi, signora. In effetti, sono così felice di essere vivo che per me è un bell’incarico. Se fossi depresso forse no, ma…».
Lo interruppe lo squillo del cellulare di Nikki. Era un Rick Bainbridge sull’orlo dell’esaurimento. Lei ascoltò cosa aveva da dire, acconsentì a bassa voce e chiuse la chiamata.
«Devo andare. Il commissario vuole che lo aggiorni su quello che ho scoperto». Fece un sorriso mesto. «Non che sia molto. Oh, e ti saluta e si scusa per non essere sceso ad accoglierti, ma sospetto che il revisore l’abbia inchiodato alla scrivania». Gli porse un fascio di fogli. «Copie di tutto quello che sono riuscita a trovare. Dagli un’occhiata e al mio ritorno proveremo a tirare fuori qualche idea».
Joseph setacciò gli articoli per più di un’ora, e a mano a mano che procedeva il suo buonumore cominciò a scomparire. In passato aveva avuto periodi piuttosto bui, forse molto più della maggior parte della gente, ma non aveva mai pensato di togliersi la vita. Adesso, mentre leggeva i rapporti di una miriade di agenzie e organizzazioni di aiuto, lo nauseava scoprire quante persone arrivassero a farlo.
I dati erano sconcertanti. Un suicidio ogni ottantadue minuti nel Regno Unito? Doveva esserci un errore, senz’altro. Posò il foglio sulla scrivania e lo fissò. E perché l’area di Greenborough avrebbe dovuto essere peggiore delle altre? Corrugò la fronte. Forse non lo era. I dati potevano essere manipolati per adattarsi a qualunque situazione, e anche se la statistica non era il suo passatempo preferito, non se la cavava male. Perciò, in assenza di un vero e proprio lavoro di polizia, forse avrebbe dovuto trascorrere un po’ di tempo a scovare anomalie, o zone grigie create apposta per mistificare la realtà.
Con un piccolo sospiro, Joseph aprì una seconda cartellina e tirò fuori i fogli delle statistiche. Tutt’a un tratto, i vecchi film che negli ultimi tempi avevano preso ad annoiarlo tanto cominciavano a sembrare molto allettanti.
Capitolo due
Charles Cavendish-Small indicò verso l’alto con fare drammatico. «E questo, signore, signori e bambini, è il punto più alto della nostra visita». Fece una pausa, sperando che per una volta qualcuno avrebbe capito il gioco di parole. Accadeva di rado, e si chiedeva perché si disturbasse a farlo. «La torre. È stata costruita in tre fasi, cominciando in stile gotico primitivo e terminando in perpendicolare. Storicamente ciascuna fase rappresenta la crescente ricchezza della nostra città, e vale la pena salire sulla piattaforma panoramica per godere di una meravigliosa vista su Greenborough, il fiume e