io,donna carnefice
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Anteprima del libro
io,donna carnefice - Glenda Mancini & Veronica Cardin
Glenda Mancini & Veronica Cardin
io, donna carnefice
UUID: 193e4e38-ee05-11e6-bc42-0f7870795abd
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
IO,DONNA CARNEFICE
Prefazione
Introduzione
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO
APPENDICE DEGLI ARTICOLI PRESI IN ESAME
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI
IO,DONNA CARNEFICE
" A feminist perspective should be holistic;examining both the positive and negative sides of women's behavior. Bringing attention to some women being in the role of perpetrators, not solely as the victims of intimate partner abuse,involves viewing women as they are,not as we wish them to be."
(Babcock et al.,2003)
" U na prospettiva femminista dovrebbe essere olistica nell'esaminare entrambi i lati, positivi e negativi, del comportamento delle donne.Concentrando l' attenzione anche sulle donne carnefici e non solamente sulle donne vittima (della violenza domestica), avremmo la visione di come loro sono e non di come vorremmo che fossero."
Prefazione
Seguo da tempo l'interesse di Glenda Mancini sul tema della violenza domestica ed ho avuto il piacere di incontrarla in Inghilterra. Da allora, siamo in contatto ed adesso ho l'onore di scrivere la prefazione del suo secondo libro dal titolo Io donna carnefice
. Io sono particolarmente interessata a questo argomento e alla realtà italiana perché ho vissuto per sei anni vicino a Siena e lì ho conosciuto da vicino la realtà delle famiglie italiane, i loro segreti e l'influenza della Chiesa cattolica che spesso insiste affinché gli uomini e le donne onorino il sacramento del matrimonio finchè morte non li separi
e, talvolta, è la morte violenta a separarli per davvero.
A Siena ho collaborato con un team di sociologi interessati all'abuso subito dalle donne; successivamente, mi sono recata a Firenze in un rifugio appena creato per donne maltrattate e, tutte le volte in cui ho cercato di parlare con le donne che offrivano aiuto alle vittime di violenza che lì potevano essere accolte, mi sono imbattuta nel luogo comune secondo cui il patriarcato è la sola causa di violenza contro le donne ed i figli
. In America si era creato un Movimento di Liberazione delle Donne che si stava diffondendo in Occidente e di cui ho fatto parte per un brevissimo periodo di tempo. In quel Movimento mi sono accorta di avere a che fare con donne che definirei Marxiste
e che, se da un lato lottavano concretamente perchè le donne non venissero abusate da maschi dominatori e manipolatori, dall'altro credevano in un utopistico modello di famiglia fatto da una donna e dai suoi figli.
Mio padre faceva parte del Servizio Consolare e con mia madre andò a Tien Sien (oggi Tianjin) in Cina. Là vennero catturati dai Comunisti nel 1949 e furono tenuti prigionieri per tre anni. Quando alla fine tornarono in Inghilterra, mi sono all'improvviso resa conto di cosa significasse la vita in Cina ed in Russia sotto il Regime comunista ma fino a quando non sono trascorsi i lunghi anni che hanno portato al collasso di tale Regime in entrambi i Paesi, mi è stato difficile dare un suono ai sentimenti che avevo nel cuore. Nel 1971 mi sono allontanata dal Movimento di Liberazione delle Donne in Inghilterra ed ho aperto una piccola casa a Londra, più precisamente a Chiswick, per offrire un rifugio alle donne maltrattate, un rifugio in cui poter portare anche i propri figli ed in cui essere aiutate a trovare un lavoro. Quasi subito il Rifugio si è riempito di vittime di violenza domestica ed io mi sono accorta di trovarmi di fronte a due problemi: da un lato mi sono imbattuta in un numero tutt'altro che esiguo di donne violente esattamente quanto i propri partner, talvolta anche di più; dall'altra parte, le donne accolte erano vittime innocenti di abuso da parte dei propri figli. Ora, se le donne che originavano da famiglie amorevoli erano in grado, una volta ricevuto supporto materiale e legale, di allontanarsi dalla casa e di iniziare una vita normale, le donne violente necessitavano invece di un programma terapeutico specifico e di durata variabile. Questo è stato il mio lavoro per i dodici anni successivi: ho cercato di creare un programma che potesse aiutare le famiglie con un vissuto di violenza a modificare i propri comportamenti negativi e disfunzionali.
Sfortunatamente a questo punto i pensieri radicali femministi stavano prendendo piede e per i più il mondo occidentale appariva come un luogo in cui gli uomini ed i ragazzi erano tutti potenziali carnefici, stupratori o comunque figure negative all'interno della famiglia.
Da numerosi anni non faccio che parlare, scrivere e rilasciare interviste sulle tragedie che hanno colpito le vite di numerosi uomini e dei loro figli ma è adesso in questo secondo libro di Glenda Mancini che ci viene dimostrata la necessità di distogliere la nostra attenzione dalle varie ideologie politiche concentrandola, invece, sulla violenza domestica per quella che è, comprendendola nel suo profondo ma anche affrontandola e combattendola mediante specifici programmi terapeutici rivolti alle sue vittime. A me che non sono un'accademica, ha colpito la meticolosa ricerca che è stata fatta sull'argomento. Questo libro non è fatto soltanto di dati statistici o di storie raccontate dalle vittime maschili di violenza domestica: questo libro propone soluzioni concrete. Questo testo rappresenta anche un punto di rottura rispetto a quanto in generale viene scritto sull'argomento ed io apprezzo il coraggio dell'autrice che ha accettato che anche gli uomini possano essere vittime di violenza. Glenda ha scritto il primo libro sull'argomento ben sapendo che si sarebbe attirata addosso le critiche del mondo femminista e, in un certo modo, anche del mondo accademico che, invece, dovrebbe e potrebbe sostenerla. Adesso, con questo secondo libro, io spero sinceramente che, per la salvezza della famiglia, degli uomini e dei ragazzi che molte voci si uniscano a quella di Glenda nella lettura di queste pagine.
ERIN PIZZEY
Introduzione
Quando ho scritto il primo libro su questo argomento, mi è capitato spesso di sentirmi chiedere se il mio interesse fosse dovuto ad esperienze dirette o se qualche mio conoscente avesse subito violenza da parte di una donna. La risposta ad entrambi gli interrogativi è la seguente: ho scoperto questo fenomeno in modo del tutto casuale.
Stavo lavorando alla tesi di laurea in scienze dell’investigazione, che in origine verteva sul fenomeno della violenza domestica a danno delle donne, e nella ricerca dei materiali mi sono imbattuta in studi internazionali che dimostravano in realtà anche l'altro lato della medaglia, lato in Italia totalmente scotomizzato e dunque, sino a quel momento, mai studiato in modo approfondito.
Durante la mia ricerca, ho incontrato diverse problematiche perché in Italia non esistono nel merito studi ufficiali, cioè svolti da Istituti di ricerca ufficialmente riconosciuti, e ciò nonostante sia già avvenuto il riconoscimento da parte della Convenzione di Istanbul e dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) della possibilità che sia l’uomo la vittima in una relazione violenta.
Addirittura, mi sento di affermare che questa limitata visione della violenza domestica abbia in realtà generato un messaggio sbagliato perché induce i più a credere che questo genere di reato venga commesso esclusivamente dagli uomini a danno delle donne. Dall'altro lato, anche la maggior parte dei professionisti impegnati nella formazione sulla violenza ha sinora ignorato, o ha comunque posto in secondo piano, la percentuale di denunce formulate da uomini che si dichiarano vittime di violenza psicologica ma talvolta anche fisica da parte delle proprie partner. Uno dei motivi per cui si è giunti a questo punto è sicuramente la purtroppo ancora troppo elevata frequenza dei cadi di femminicidio che, doverosamente, impegnano risorse, fondi, attività di volontariato ma anche spazi per documentari e dibattiti all'interno di programmi televisivi. E' logico che mentre si combatte per convincere le donne a denunciare la violenza subita e mentre si tenta di far comprendere agli uomini-carnefice che non sono più liberi di fare delle proprie partner e dei propri figli ciò che desiderano, parlare dei casi in cui le donne stesse delinquono in ugual maniera ridurrebbe l'efficacia del messaggio che si vuol trasmettere. Eppure, noi che abbiamo deciso di occuparci di violenza domestica nel senso più profondo del termine sappiamo che parlare delle sue vittime a prescindere dal loro sesso non può né deve svilire nessuno. La violenza all'interno di una famiglia è un fatto vergognoso a prescindere dal sesso del carnefice e delle sue vittime e, nonostante sia doveroso sottolineare che sinora la donna si è rivelata in assoluto la vittima più frequente, è altrettanto doveroso, in una società e in rapporti di coppia in continua evoluzione, non dimenticarsi di quegli uomini che hanno sofferto allo stesso modo e che hanno dovuto farlo in solitudine.
La Stampa ed internet da sempre riportano anche i casi di cronaca nera in cui gli autori dei delitti sono