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Crime and Intelligence
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E-book128 pagine3 ore

Crime and Intelligence

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"Crime and intelligence" analizza il crimine in tutte le sue declinazioni e, con esso, tutte le realtà finalizzate a prevenirlo e combatterlo. Tale analisi viene condotta, in una lettura multidisciplinare, all'interno dei nuovi scenari tecnologici e mediatici che si sono imposti nelle nostre vite e che ormai caratterizzano un mondo costantemente interconnesso.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2016
ISBN9788892604414
Crime and Intelligence

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    Anteprima del libro

    Crime and Intelligence - Marino D'Amore

    Atlasorbis

    1. La Comunicazione Internazionale e Interculturale

    La locuzione comunicazione internazionale rappresenta una macrocategoria, un concetto contenitore che ne racchiude altri e che non può essere relegata semanticamente a mera comunicazione tra diversi paesi. Una simile definizione sarebbe troppo superficiale, depauperando la realtà dei fatti dei suoi contenuti fondamentali. Secondo Fortner, nello studio della c.i (acronimo di comunicazione internazionale) si devono prendere in considerazione sei aspetti: l’intenzionalità, i canali, le tecnologie di distribuzione, la forma del contenuto, le conseguenze culturali e, infine, gli aspetti politici.

    a) Per poter definire una comunicazione internazionale, chi comunica deve innanzitutto intenderla come tale. La sola ricezione del segnale di una stazione radiofonica o televisiva di un Paese straniero non è sufficiente a renderla internazionale, in quanto non intenzionale. Al contrario, le trasmissioni della BBC World Service Television o della CNN possono essere definite internazionali perché sono espressamente realizzate e finalizzate per oltrepassare i confini nazionali, cosa che ne decreta l’intenzionalità.

    b) Nella c.i. i media, attraverso i loro canali, giocano un ruolo assai significativo, siano essi pubblici o privati.

    c) La comunicazione dipende anche dal tipo di tecnologia di distribuzione impiegata per trasmettere. Il software mediale può essere veicolato da onde elettromagnetiche (via etere, via cavo coassiale o per mezzo di fibre ottiche) oppure registrato su pellicola, su cassette audio-video o utilizzando la tecnologia in streaming.

    d) Per quanto riguarda il contenuto, cadono sotto la definizione di c.i. molte forme diverse. Sono tali le informazioni grezze inviate da agenzie come la Reuter o l’AFP, l’intrattenimento, i programmi di attualità, i dati informatici e i software forniti da banche dati e società internazionali per il trattamento dei dati stessi, i servizi vocali distribuiti da società come Telecom Italia, i messaggi criptati sui canali militari, i dispacci diplomatici, la posta elettronica e i dati bancari.

    e) A prescindere dalla forma adottata, la c.i. produce delle conseguenze culturali. Ogni atto della comunicazione di massa, in quanto attività simbolica, simulacro mediatico di quella face to face, ha un impatto sulla cultura. Si pensi, per esempio, allo scontro continuo tra l’appello dei paesi più potenti alla libertà di espressione che tende all’uniformità culturale e l’intenso sforzo di quelli meno avanzati nel cercare di salvaguardare le proprie culture indigene, il proprio background identitario e autoctono.

    f) La c.i. produce conseguenze non solo culturali ma anche politiche. Ogni atto di comunicazione, per sua stessa natura, è politico in quanto implica relazioni di potere. Quando la comunicazione oltrepassa i confini nazionali, assume una portata politica dal momento che condiziona in qualche modo l’equilibrio delle dinamiche e dei poteri interni su cui agisce. Essa può essere più o meno apertamente politica: mentre la propaganda e l’informazione di parte sono esempi di c.i. dichiaratamente politica, le discussioni durante le conferenze internazionali hanno implicazioni politiche molto più sottili e codificate.

    A prima vista sembrerebbe che la c.i. stia unificando il mondo. Un’analisi più attenta, però, rivela quanto ciò non sia del tutto vero. All’interno di essa possiamo infatti notare un duplice movimento: da una parte gli utenti si dirigono verso un consumo globale di prodotti mediali come film, musica e programmi televisivi, partecipando così a sistemi di informazione globali; dall’altra hanno accesso a forme di intrattenimento e informazione assai personalizzate con il rischio di rendere obsoleto il concetto stesso di sistema nazionale o internazionale della comunicazione di massa. Pertanto nel panorama della c.i. di oggi il globale cerca sempre di adattarsi al locale e viceversa, obbedendo alla dinamiche di una logica glocal.

    McLuhan e Fiore hanno coniato l’espressione ‘villaggio globale’ per indicare la contrazione di tempo e spazio che caratterizza la moderna comunicazione e, in conseguenza, c.i. In particolare essi fanno riferimento all’affermarsi, come mezzo dominante di interazione, di una comunicazione orale, basata sulla parola e sull’ascolto, tipica del villaggio. Dopo McLuhan¹ molti altri, studiosi o meno, hanno usato il termine ‘villaggio globale’ in contesti diversi, a volte in maniera poco opportuna. Fortner, riferendosi alla scena internazionale, sottolinea come non si tratti affatto di un villaggio, poiché non vi è l’intimità, la condivisione di spazio, l’intreccio di esistenze, di valori comuni e di storia tipici della vita di un villaggio. I soli mezzi di comunicazione in sé e per sé non possono fornire questi aspetti essenziali e fortemente identificativi della vita di villaggio². Secondo Fortner, la scena internazionale somiglia a una metropoli globale piuttosto che a un villaggio globale³. Nella metropoli gli individui non si conoscono: mentre pochissimi raggiungono il massimo di visibilità, la maggior parte vive nella più totale oscurità. Non solo quindi il flusso dell’informazione è diseguale, ma anche l’intimità è limitata e artificiale. La comunicazione all’interno della metropoli riflette le disuguaglianze etniche, razziali e sessuali esistenti all’interno della società, disuguaglianze che in essa si perpetuano secondo modalità metonimiche.

    La metropoli globale è attualmente caratterizzata da un duplice movimento: uno centrifugo e l’altro centripeto. La c.i., da una parte, sta diventando sempre più globale, in quanto i media operano per un pubblico mondiale e le differenze tra i diversi sistemi mediali stanno velocemente scomparendo; nello stesso tempo, si frammenta sempre di più, poiché le scelte tra i vari media si moltiplicano e le tecnologie rendono i sistemi di comunicazione di massa, nazionali o internazionali, obsoleti e irrilevanti, soprattutto quelli generalisti, personalizzando molte scelte fruitive. All’interno di questo duplice movimento, la c.i. deve affrontare una serie di questioni. Gli studiosi prevedono che per il 2020 soltanto 20 grandi multinazionali domineranno il campo della comunicazione e dunque della cultura. Le differenze di filosofia nei diversi sistemi mediali creeranno un conflitto tra i governi, anche perché i vari sistemi nazionali diventeranno sempre più privatizzati e commerciali. La nuova economia dell’informazione minaccia, in prospettiva, le attuali strutture di potere, offuscando le linee di demarcazione tra settore pubblico e privato, tra servizio e industria, tra lavoro e tempo libero, e fra stati sovrani. I paesi del terzo mondo arrancano alle spalle dei paesi del primo per avere accesso alle tecnologie della comunicazione, privi della possibilità di impedire che i loro cittadini sprofondino sempre più nel sottosviluppo e nella ghettizzazione. In questo senso avviare un processo di democratizzazione mediale rappresenterebbe un primo step, aiuterebbe a risolvere problemi più pressanti che riguardano quelle terre, permettendo di catalizzare l’attenzione dei pubblici sul loro disagio quotidiano in modo più costante e duraturo, di porre in essere le condizioni per elidere spazi e tempi comunicativi affinchè in futuro si elidano tutti gli ostacoli sociali, politici e culturali che impediscono la realizzazione di una rete di aiuti più continua, efficace e risolutiva rispetto alle drammatiche questioni di nutrizione, sanità o sopravvivenza che dilaniano quotidianamente quella parte del mondo. Parificazione contro discriminazione e segregazione. La comunicazione serve anche a questo.

    La comunicazione interculturale è, lo dice la locuzione stessa, una forma di dialogo tra culture diverse; essa comprende tutte quelle risorse che consentono uno scambio comunicativo efficace e opportuno tra parlanti che provengono da paesi differenti. A un livello meramente individuale offre la possibilità di arricchire il proprio bagaglio culturale attraverso la conoscenza di tradizioni, usi e costumi differenti da quelli della società di appartenenza che si concretizzano nelle attività legate alla quotidianità, a livello statale comprende principalmente la collaborazione reciproca e la condivisione di accordi.

    Negli ultimi anni questa forma di comunicazione ha assunto un’importanza sempre più centrale grazie soprattutto ai processi di globalizzazione. La collaborazione e il dialogo tra culture diverse ha subito una notevole espansione a livello locale, per esempio attraverso la solidarietà reciproca delle comunità di diverse etnie spesso presenti nelle grandi metropoli, a livello nazionale con iniziative volte a favorire l'integrazione di immigrati, a livello internazionale attraverso la costituzione di enti e istituzioni (è un esempio su tutti: l'Onu) che hanno come obiettivo la cooperazione tra stati e culture diverse. Negli ultimi anni il multiculturalismo e l'idea di stabilire contatti con persone provenienti da paesi stranieri, spesso con tradizioni culturali, sociali e religiose differenti dalle proprie, si è sviluppata grazie anche all'avvento del web, elidendo tempi e spazi e rendendo tutti cittadini di un modo costantemente interconnesso. I problemi di comunicazione sorgono quando tra due individui di culture diverse si ha un deficit di codici linguistici condivisi che provoca il mancato raggiungimento dell'obiettivo comunicativo. Il malinteso che può stabilirsi tra persone che parlano lingue differenti e soprattutto che non condividono la stessa

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