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Zitta, in nome del tuo Dio!
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E-book236 pagine2 ore

Zitta, in nome del tuo Dio!

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Info su questo ebook

Originale viaggio interculturale sull’abuso all’infanzia e alla donna: si chiarisce finalmente il pensiero diffuso nelle diverse comunità presenti in Italia. Viene tollerata la violenza alle donne? Viene coperta la pedofilia? E l’infibulazione? Questo approccio sociologico presenta un attento studio del pensiero (a volte intimo) dello “straniero” a noi vicino. Con qualche sorpresa.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2016
ISBN9788892604315
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    Anteprima del libro

    Zitta, in nome del tuo Dio! - Ilaria Bellano

    pedofilia.

    CAPITOLO 1- Abusi sessuali sui minori: storia, caratteristiche e immaginario collettivo

    In questo capitolo verrà ripercorsa la storia dell’abuso sessuale sui minori, con particolare attenzione alle differenti epoche e culture ed ai diversi significati che l’abuso ha assunto nel corso dell’evoluzione umana. Verrà presa in esame anche la categoria dell’infanzia, riconosciuta in quanto tale solo in età moderna. Si chiariranno poi le differenze tra le varie tipologie di abusi sessuali, le caratteristiche degli abusanti e le possibili cause che stanno all’origine del comportamento pedofilo. Si cercherà inoltre di smantellare, attraverso riscontri scientifici, il tradizionale stereotipo del pedofilo, esaminando anche la parte femminile del fenomeno e il forte associazionismo che c’è, ma che non si conosce.

    par.1- Pedofilia: evoluzione storica del fenomeno

    Gli abusi sessuali sui minori costituiscono un fenomeno molto antico. Numerose testimonianze storiche dimostrano che la violenza ed i maltrattamenti aggressivi nei confronti dei minori sono manifestazioni costanti e sempre esistite.

    Per affrontare il complesso fenomeno della pedofilia è necessario indagare sulla sessualità umana e, quindi, considerare tanto il lato biologico, i costumi e le tradizioni, quanto le norme morali e sociali che determinano e dirigono i comportamenti umani [Cifaldi, 2004]. Questa forma di sessualità, il sesso con i minori, appare – almeno per quanto concerne la sequenza Grecia-Roma-Europa occidentale – caratterizzata, sul piano legislativo, da un andamento ciclico, nel cui ambito lunghi periodi di relativa tolleranza si alternarono con altrettanti lunghi periodi di pesante repressione [Cantarella, 1995]. Pedofilia è un termine che deriva dal Greco antico παῖς, παιδός (bambino) e φιλία (amicizia, amore). Letteralmente significa amore per i bambini, ma in realtà indica l’inclinazione, di un soggetto adulto, di provare attrazione sessuale e sentimentale per un bambino in età pre-puberale. Non si può definire un’età specifica di questa fase dello sviluppo psico-fisico del soggetto, ma si ritiene che l’età pre-puberale sia compresa entro gli 11-12 anni per le femmine, ed entro i 12-14 per i maschi¹, anche se spesso il passaggio alla pubertà avviene prima. Essendo tenera l’età dei fanciulli, la pratica della pedofilia, storicamente, è stata apparentemente bandita ed ostacolata, ma da tempi molto antichi un’altra pratica sessuale ha caratterizzato alcune culture ed epoche: la Pederastia. Il termine deriva dal Greco παις (ragazzo) e ἐραστής (amante), e nell’antica Grecia stava ad indicare una relazione sentimentale e sessuale tra un adulto e un adolescente maschio. Il pederasta è un soggetto di sesso maschile che prova piacere soltanto nel rapporto sessuale con giovani maschi, che non cerca mai di sedurre bambini e adolescenti di sesso femminile e che ha, quindi, per oggetto sessuale esclusivo ragazzi in età puberale. L’età dei fanciulli varia dai 14 ai 18 anni, ma nell’antologia Palatina si parla anche di 12 anni [de Cataldo, 1999].

    Lo studio dei graffiti, supportato da quello antropologico delle società primitive, ha fatto emergere sia che la pederastia era praticata da alcune tribù dell’Australia, della Polinesia e della Nuova Guinea, sia che casi analoghi si sono registrati anche in Marocco e in Siberia. La pederastia era riservata ai prepuberi, i quali - attraverso questa pratica - erano accolti nel rango degli adulti [Cifaldi, 2004].

    La pederastia nell’antica Grecia fu una vera e propria norma sociale, una forma di educazione riconosciuta dallo Stato e in molti casi ufficialmente incentivata, che aveva prettamente significato di iniziazione all’età adulta. Il termine pederastia era soltanto l’espressione di un genere amoroso e non aveva alcun senso infamante [de Cataldo, 1999]. Il pederasta era considerato un Pedagogo, colui che aveva una funzione di guida nella vita, anche sessuale, dei suoi discepoli [Persico, 2001]. Ad Atene, per un ragazzo, avere una relazione omosessuale con un adulto era una cosa considerata socialmente accettabile e desiderata, ma il sesso con i bambini prepuberi, la pedofilia, era una cosa da punire con condanne severe, fino alla pena di morte [Cifaldi, 2004]. Anche se la pederastia era libera e permessa dalle leggi del tempo, il rapporto sessuale tra un adulto e un ragazzo pubere non era immediato, anzi sottostava ad una regola precisa: «la sua età non doveva essere inferiore a 12 anni» [Farre, 2007]. L’erastes era l’amante, colui che prendeva l’iniziativa e organizzava il corteggiamento; l’eromenion era invece l’amato, il corteggiato, un contenitore amorfo che avrebbe potuto prendere forma solo attraverso la relazione pederastica con l’erastes [Riggi, 2006]. Gli ateniesi ritenevano che l’amore, anche fisico, che poteva legare un adulto a un ragazzo prepubere fosse una condizione favorevole alla trasmissione del sapere e delle leggi della polis [Cifaldi, 2004].

    Anche la pedofilia femminile era ritualizzata: esistevano, infatti, le tiasi, cioè delle comunità educative nelle quali bambine di buona famiglia venivano addestrate a diventare donne da maestre che le educavano alla cura della persona e della casa, alle arti, e anche al piacere sessuale. Esempi simili si ritrovano a Sparta, a Lesbo ed a Militane, ma molte altre erano le comunità sparse nella Grecia dell’epoca classica [Fruet, nd].

    Nell’antica Roma, invece, la pederastia era considerata il vizio greco; non aveva una funzione educativa e pedagogica ma diveniva espressione di pura sopraffazione, di forza e dominio. I Romani non si equiparavano ai Greci perché non avevano rapporti sessuali con ragazzi liberi. Essi rivolgevano la loro attenzione soltanto ai giovani schiavi, poiché la Lex Scatinia, di età Repubblicana, puniva l’adulto che intratteneva rapporti sessuali con un fanciullo libero [de Cataldo, 1999]; ne conseguiva che gli schiavi e gli orfani di strada costituivano le vittime privilegiate.

    A partire dal II secolo d.C. si avvertirono le prime avvisaglie di una rivoluzione di ingente portata sulla sessualità. Stoici e Neoplatonici esortarono fra i primi alla moderazione, all’autocontrollo, spesso all’ascetismo [Cifaldi, 2004].

    Durante il Medioevo la pedofilia ricompare sotto un’altra forma: quella dell’apprendistato presso le botteghe degli artigiani. Il bambino intorno agli 8-10 anni lasciava la sua famiglia di origine per andare a vivere e lavorare con il suo maestro; e anche qui non era iniziato solo al lavoro, ma anche al sesso. Il bambino veniva sfruttato e considerato una merce da utilizzare per soddisfare qualsiasi desiderio, e tutto era perfettamente lecito, dato che l’affidamento era stato voluto dai genitori naturali. Nel corso del Medioevo e nei secoli successivi vi fu sempre una diffusa promiscuità tra adulti e bambini, anche per la condivisione degli spazi, tanto di giorno quanto di notte. Dormire da soli non era un’abitudine diffusa e i bambini rimanevano spesso nel letto o nella stanza dei genitori, o in quella di altri parenti o servitori; qui potevano assistere alle effusioni sessuali degli adulti, o anche essere facilmente oggetto di attenzioni e molestie da parte di qualche membro della famiglia allargata. Questo era il clima culturale nelle famiglie nobili e non [ibidem].

    Nella seconda parte del Medioevo il grande calo demografico che decimò la popolazione europea indusse i governanti a reprimere le pratiche sessuali che non favorivano il processo di procreazione, ma queste non vennero perseguite e punite esclusivamente per ragioni demografiche ma anche per motivazioni etico-religiose che andavano contro l’esercizio della sodomia [de Cataldo, 1999]. La tradizione giudaico-cristiana, pur costituendo un deterrente nei confronti della pedofilia omosessuale, risultava meno incisiva nella difesa delle bambine, le quali contraevano matrimonio all’età di 10 anni con uomini molto più anziani [Riggi, 2006].

    All’inizio del XVI secolo, con lo scoppio dell’epidemia di sifilide, ci fu un fortissimo periodo di severità e di condanna [Persico, 2001]. Il reato di devianza sessuale veniva punito anche con la morte; va detto, però, che durante il Rinascimento apparve – specialmente in Italia – una tendenza di pensiero opposta, una corrente semi-sotterranea di erotismo artistico, che indicava come la repressione fosse lontana dall’essere pienamente efficace nel tentativo di incanalare l’impulso sessuale entro gli stretti confini del matrimonio. Venne riportato in vita il culto della pederastia, come dimostrato dai nudi di adolescenti del Verrocchio, di Botticelli e di Leonardo, ma con un carattere meno spirituale rispetto a quello che aveva avuto in Grecia, tanto che per designare il congiungimento con questi giovani venne coniato il termine buggerare, corrispondente all’attuale sodomizzare.

    Nella seconda metà del ‘600 si incominciò a guardare con determinata riprovazione questo tipo di abitudini. In Francia nacque una letteratura pedagogica volta ad indirizzare e facilitare genitori ed educatori a salvaguardare l’innocenza infantile: si raccomandava di non far dormire più bambini nello stesso letto, di evitare di coccolarli, di sorvegliare le loro letture, di non lasciarli con i domestici [Cifaldi, 2004].

    Nel corso della storia, dunque, il bambino non è sempre stato considerato come un essere umano bisognoso della guida e della protezione della famiglia, ma più spesso come una cosa di proprietà dei genitori.

    Per dare autenticità e riconoscere la categoria dell’infanzia bisogna aspettare la Rivoluzione francese, che con la Costituzione del 1793 proclamò per la prima volta i diritti dei bambini.

    Il bambino inizia così ad essere considerato un soggetto provvisto di una sensibilità e di una coscienza proprie; di conseguenza, si comincia ad indagare sullo sviluppo psico-fisico dell’infanzia e sulle conseguenze dei maltrattamenti; maltrattamenti che, naturalmente, il bambino non può capire e vivere nella loro complessità.

    Il bambino, tuttavia, è divenuto veramente oggetto di osservazione storica solo quando nella coscienza collettiva si è formata l’idea che la stessa infanzia dovesse essere considerata una categoria oggetto di tutela. Tale circostanza ha coinciso con l’evoluzione di discipline particolari, quali la Psicologia, la Sociologia e la Pedagogia, e con il conseguente sviluppo del diritto e della normativa sociale.

    De Mause, uno degli studiosi più noti della storia dell’infanzia, scrive: «la storia dell’infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va indietro nella storia più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali» [De Mause, 1989]. Nell’antichità il bambino non era considerato un essere con un valore in sé, ma un essere inferiore perché mancante delle doti dell’adulto. L’infanzia era ritenuta un’età imperfetta e, per questo, era oggetto di autoritarismo ed oppressione.

    Fu durante il XVIII secolo che la coscienza sociale, attraverso giudizi di valore diretti a definire in modo netto le condotte lecite e quelle illecite nell’area sessuale, recepisce come autentiche turpitudini le violenze sessuali sui bambini e relega la pedofilia tra le perversioni più aberranti [De Salvatore, 2001].

    In epoca moderna il bambino diventa oggetto di maggiore interesse da parte di esperti (medici, maestri, filosofi) e l’opinione pubblica prende lentamente coscienza dell’importante problema della tutela del bambino e dei suoi diritti.

    All’inizio del ‘900 Pedagogia, Psicologia e Sociologia iniziano ad interrogarsi sul problema dell’infanzia e dei suoi bisogni: al bambino vengono riconosciuti esigenze, bisogni affettivi e psicologici, e viene altresì affermato che i diritti dei minori devono essere garantiti non solo dai genitori, ma da tutta la società².

    Durante gli anni ’60 del Novecento, l’opinione pubblica e la classe politica hanno iniziato a mostrare un grande interesse ai problemi dell’infanzia - anche se limitatamente al fenomeno dell’abuso fisico - mettendo in risalto la negatività delle condotte violente contro bambini e adolescenti.

    Uno tra i primi studiosi ad occuparsi di abusi sui minori è stato il pediatra nordamericano H. Kempe, il quale, nel 1962, si è soffermato non solo sull’abuso sessuale tout court, ma anche su maltrattamenti psicologici, trascuratezza, abbandono, pornografia e prostituzione. L’autore afferma che si deve considerare abuso sessuale sui minori «il coinvolgimento di bambini e adolescenti in attività sessuali che essi ancora non comprendono completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i ruoli familiari» [Farre, 2007].

    Di notevole importanza sono state poi le preoccupazioni suscitate durante gli anni ’70 e ’80 dal racconto di donne adulte che hanno denunciato le loro personali esperienze di abuso sessuale durante l’infanzia. Questi racconti erano direttamente o indirettamente legati ai temi proposti dal movimento femminista; in quegli anni, l’attenzione era principalmente rivolta al tema dell’incesto padre-figlia piuttosto che all’abuso sessuale in generale. Per le femministe l’abuso sessuale sui bambini era considerato una delle manifestazioni delle strutture sociali di tipo patriarcale che opprimevano le donne. Durante gli anni ‘80, parallelamente alla crescita della consapevolezza pubblica e istituzionale, la ricerca in questo ambito iniziò a crescere esponenzialmente, cosicché esisteva – all’inizio degli anni ’90 – un numero sufficiente di ricerche da poter supportare, in modo convincente, alcune conclusioni generali in merito all’abuso sessuale: in primo luogo, l’esposizione dei bambini ad esperienze sessuali indesiderate non era un fenomeno poco frequente; in secondo luogo, le condizioni di rischio di abuso sessuale aumentavano in certi contesti familiari e sociali; infine, si rilevò come l’esposizione all’abuso sessuale durante l’infanzia potesse provocare notevoli problemi di adattamento e di salute mentale, sia a breve che a lungo termine [Fergusson, Mullen, 2004].

    La fine del XX secolo vive un periodo di tolleranza sessuale senza precedenti, come anche di sessualizzazione in tutti gli aspetti della vita quotidiana. La quasi assenza di freni inibitori, la progressiva erosione del senso del pudore, la ricerca ossessiva del piacere, sono i vettori di questa nuova cultura sessuale che non ha risparmiato i minori [Berra, Iacono, Persichella, 1998]. Negli ultimi anni il fenomeno degli abusi su minori ha raggiunto vette sconcertanti, diventando uno dei problemi sociali più rilevanti a livello globale.

    La pedofilia, dunque, non è assolutamente un fenomeno nuovo, né un male dell’era moderna; i costumi sessuali sono storicamente instabili, variano da luogo a luogo, di epoca in epoca, da cultura a cultura. Tuttavia, esclusiva dell’epoca contemporanea, sembra essere la componente violenta del fenomeno [Coluccia, Calvarese, 2012].

    Ai giorni nostri, principalmente nelle società più sviluppate, si va affermando una maggiore e generalizzata presa di coscienza collettiva circa la drammaticità del fenomeno; ciò nonostante, ancora oggi, c’è una diffusa reticenza e omertà nell’ambito delle famiglie che, per pudore o per vergogna, non denunciano tali violenze.

    L’attuale momento storico, contraddistinto da una generale perdita di valori e dalla ricerca incessante del godimento immediato, è caratterizzato da forme sempre più bizzarre ed estreme di ricerca del piacere sessuale; in questo quadro socio-culturale l’infanzia torna ad essere minacciata, in particolar modo da parte di quelle organizzazioni criminali che ne fanno oggetto di guadagno, in un mercato prolifero di pedofili [De Blasi, 2009].

    In un mondo che cambia ogni giorno, a ritmi incessanti e sempre in evoluzione, anche il mondo della pedofilia è cambiato: i pedofili si sono organizzati, i numeri dei bambini abusati continuano a crescere e le istituzioni lavorano per cercare di contrastare un fenomeno che ormai è divenuto un allarme sociale. Interessanti, a tal proposito, sono le parole di Green: «The diversity of sexual behavior in a cross-cultural perspective is amazing to those who assume that their own society’s moral standards are somehow laws of nature. Yet it is a fact that almost every sort of sexual activity has been considered normal and acceptable in some society at some time. Man-boy relationships are no exception to this rule of diversity. Although they

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