L'ultimo giorno di un condannato a morte
Di Victor Hugo
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Info su questo ebook
Victor Hugo
Victor Hugo (Besançon, 1802-París, 1885) es quizá el escritor más representativo de las letras francesas del siglo xix. De vocación temprana, comenzó su andadura literaria con Odas y poesías diversas (1822), su primera obra poética. Muy pronto fue considerado el jefe de las filas del Romanticismo francés y sus obras encontraron un reconocimiento generalizado debido, fundamentalmente, al virtuosismo de su prosa y a la elección de unos argumentos en los que se entremezclan a la perfección lo misterioso y sobrenatural con la denuncia social más inteligente y certera. Entre sus obras más destacadas se encuentran Las orientales (1829), Nuestra señora de París (1830), Ruy Blas (1838), Los miserables (1862) o Los trabajadores del mar (1866), además de un buen número de obras teatrales, poemas, ensayos históricos y discursos políticos. Victor Hugo murió el 22 de mayo de 1885 a causa de una pulmonía. Su ataúd permaneció durante varios días bajo el arco del triunfo, donde se dice que fue visitado por cerca de tres millones de personas.
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Anteprima del libro
L'ultimo giorno di un condannato a morte - Victor Hugo
didattici.
Il libro
Il diario di un condannato a morte. Con le sue angosce ora per ora, minuto per minuto, supplizio per supplizio. Una progressione di dolori, una specie di autopsia intellettuale d’un condannato, più di una lezione per quelli che condannano
. È la sintesi di questo libro, un piccolo, gigantesco libro. Un vero e proprio manifesto contro la pena di morte e l’orribile idea che uccidere un essere umano, a volte, possa essere un atto di giustizia.
Scritto in anni in cui l’umanità sembrava in procinto di fare un grande balzo nella modernità
, denuncia come, in quegli stessi anni, si tagliassero ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisse in carcere, si mandasse a morire qualcuno per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio
. Quasi come oggi, in molti paesi.
Il diario è quello di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Il suo nome, la sua età, il suo aspetto, la sua condizione sociale e il suo lavoro prima di essere incarcerato sono sconosciuti, marginali all’impianto della storia. Non è chiaro neppure se sia effettivamente colpevole del crimine di cui è accusato. Quella che invece è chiara è la sua totale solitudine (nemmeno sua figlia lo riconosce più), il panico che a tratti lo assale, la rassegnazione e l’angoscia di fronte all’avvicinarsi dell’appuntamento con il boia. Il pensiero della morte non gli dà tregua, non gli consente di dedicarsi ad altro. Tutto il suo mondo è condizionato dall’ansia dall’approssimarsi di quell’evento.
L’angoscia lo tortura, giorno dopo giorno, tanto da desiderare, a volte, che il tempo corra sempre più veloce, altre invece è preda dello sconcerto perché troppo frettoloso. In uno stato di evidente disperazione, comincia a scrivere la sua storia, sperando che quelle pagine possano contribuire a considerare la pena di morte per quello che è: un abominio. Il flusso dei suoi pensieri e l’alternarsi degli stati d’animo di fiducia e sconforto entrano nella mente del lettore, diventano suoi. Il protagonista un momento è pronto a morire e un attimo dopo si rende conto che il suo futuro non esiste e che deve cercare di salvarsi. Certo, ha ucciso, ma non sembra quasi curarsi del suo delitto che rimane sempre indefinito. È ossessionato dalla certezza di essere un condannato a morte
, dall’ombra della ghigliottina, di cui immagina il profilo sin nella sua cella, e dal fatto che la sua ora sta arrivando. La sua disperazione raggiunge livelli inimmaginabili.
Se uccidere è un crimine, la ghigliottina non è che un altro mezzo per uccidere. Risponde a una logica di vendetta. E la vendetta è controversa. Annota nel suo diario il protagonista: "…quel che scriverò forse non sarà inutile. Questo diario delle mie sofferenze, ora per ora, minuto per minuto, supplizio per supplizio, se avrò la forza di condurlo fino al momento in cui mi sarà fisicamente impossibile continuare, questa storia, necessariamente incompiuta, ma completa per quanto possibile, delle mie sensazioni, non recherà forse in sé un grande e profondo insegnamento? In questo processo verbale del pensiero agonizzante, in questa progressione sempre crescente di dolori, in questa specie di autopsia intellettuale di un condannato, non ci sarà più di una lezione per quelli che condannano? Forse questa lettura renderà la loro mano meno frettolosa, quando capiterà qualche altra volta di gettare una testa che pensa, una testa di uomo, in ciò che essi chiamano la bilancia della giustizia? Forse non hanno riflettuto, questi poveretti, su questa lenta successione di torture racchiusa nella sbrigativa formula di una sentenza di morte? Si sono mai soltanto soffermati sulla straziante idea che nell’uomo che sopprimono c’è un’’intelligenza, un’’intelligenza che aveva contato sulla vita, un’’anima che non si è preparata alla morte? No. In tutto questo non vedono altro che la caduta verticale di una lama triangolare, e probabilmente pensano che per il condannato non esista nulla, né prima né dopo".
In queste frasi ci sono parole di una tale acutezza che questo libro è una necessità per chi vuole tentare di capire cosa c’è di sbagliato nella pena di morte.
I
Condannato a morte!
Sono cinque settimane che vivo con questo pensiero, di questo pensiero, agghiacciato dalla sua presenza, curvo sotto il suo terribile significato.
Una volta, (mi sembra che non siano passate settimane, ma anni) io ero un uomo come gli altri uomini. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto aveva la sua idea, il mio spirito giovane traboccava di fantasia. Mi divertivo a correre dietro le mie fantasticherie, senza ordine e senza fine. Erano colme di ragazze, di battaglie vinte, di teatri pieni di rumori e splendide luci, e poi ancora ragazze e lunghe passeggiate nelle notti piene di luna. Era sempre festa nella mia immaginazione. Io potevo pensare a tutto quello che volevo: io ero libero!
Ora sono prigioniero.
Il mio corpo è legato ai ferri in un carcere. Il mio spirito è in prigione, chiuso in una idea. Un’orribile, una terribile e implacabile idea. Non ho che un pensiero, una convinzione, una certezza: condannato a morte! Qualunque cosa io faccia, questo pensiero infernale è sempre là, come uno spettro in agguato, solo e geloso. Allontana ogni distrazione, mi scuote con le sue mani di ghiaccio quando io voglio guardare e pensare altro.
Scivola su tutte le forme dove il mio spirito vorrebbe riposare. Si mescola a tutte le parole che mi vengono rivolte. Si affaccia con me alle inferriate della mia prigione. Mi ossessiona. Spia il mio sonno. Riappare nei miei sogni. Mi lacera le carni. Sono perseguitato da questo pensiero atroce.
Mi dico: Non è che un sogno!
Ma, prima ancora che i miei occhi pesanti abbiano avuto il tempo di aprirsi abbastanza per vedere la mia sorte scritta nell’orribile realtà che mi