Abu Simbel Meraviglia d'Egitto
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Anteprima del libro
Abu Simbel Meraviglia d'Egitto - Valeria Ornano
Bibliografia
Introduzione
L’idea di scrivere questo libro nasce vari anni fa, al termine dell’ennesima lettura sui templi nubiani. Sono sempre stata molto interessata all’Antico Egitto, non tanto ai misteri di cui la maggior parte degli appassionati all’argomento è ghiotto, quanto alla civiltà in se stessa, all’organizzazione di questa società così antica, ma incredibilmente vicina a noi, al nostro stile di vita, alle nostre abitudini, e per certi versi, a comparazione di mezzi, anche più avanzata.
A tutt’oggi ho all’attivo quasi 12 anni di studi egittologici svolti da autodidatta, metodo al quale sono stata costretta dalla mancanza di una cattedra di Egittologia in Sardegna, mio luogo di nascita. Per comprendere al meglio le tematiche archeologiche che un manuale di Egittologia può trattare, ho studiato due anni e mezzo Beni Culturali a indirizzo Archeologico all’Università degli Studi di Cagliari, un corso ancora disorganizzato e tempestato di lacune sugli studi riguardanti il Vicino Oriente, ma utile per inoltrarsi concretamente nel panorama archeologico e saperne comprendere il linguaggio e le metodologie.
Grazie alla mia naturale diffidenza e puntigliosità, quasi perfezionismo, fin dal principio di questo iter cognitivo, mi sono premurata di scegliere con cura i libri e i manuali sui quali basavo le mie conoscenze sull’Antico Egitto, scegliendo e accettando solamente le notizie che provenivano da testi universitari e divulgativi scritti da professori di fama nazionale e internazionale, il cui rigore scientifico e le cui conoscenze sono materiale certo e sicuro
per una studentessa che si inoltra da sola in questo campo. Molta della bibliografia di questo saggio è tratta da simili opere, come quelle di Kenneth A. Kitchen, Christiane Desroches Noblecourt, Christian Jacq, Nicolas Grimal, Louis A. Christophe, fino ai nostri Silvio Curto, Maria Cristina Guidotti, Valeria Cortese ed Edda Bresciani. Nonostante la relativa affidabilità di queste fonti, non ho mai precluso la via alle opere di altri autori, forse meno qualificati, ma animati da una forte passione quale è quella che spinge anche me a compilare questo scritto. L’Egittologia è una scienza giovane, molto c’è ancora da scoprire e da comprendere, molti gli aspetti da indagare; egittologi e semplici appassionati si applicano con lo stesso vigore, ben sapendo che ogni teoria necessita di essere verificata per essere considerata esatta. È per questo che, alle frasi che spesso si affermano con certezza nei numerosi volumi sull’Antico Egitto, io preferisco accompagnare un avverbio che rimandi al probabile
, quando si tratta di un argomento che possiamo solo teorizzare. Solo la ricerca archeologica ci darà l’autorizzazione a poter fare affermazioni concrete.
Ma perché ho scelto di trattare proprio Abu Simbel? È presto detto. Mi sono imbattuta molte volte in spiegazioni a volte confuse, altre troppo sintetiche, o al contrario troppo estese e particolareggiate tanto da risultare inaccessibili a chi non ha mai masticato Egittologia, su ciò che riguarda i magnifici templi consorti di Abu Simbel, un’opera celeberrima che considero appunto la meraviglia d’Egitto
e forse il luogo più affascinante da visitare quando si intraprende una bella vacanza lungo il Nilo. Molti egittologi o autori hanno pareri contrastanti a riguardo, pochi si premurano di teorizzare e troppi affermano con certezza, creando un conflitto di informazioni che non aiutano né gli appassionati né chi cerca semplicemente di informarsi per puro diletto. In questi 12 anni, durante i quali ho imparato a conoscere la mentalità degli antichi egiziani e a immaginare o cogliere al volo il perché di certi comportamenti o rituali o modi di vivere, ho pensato di poter riuscire a dare una interpretazione forse più diplomatica e meno intransigente riguardo tutto ciò che gira attorno ad Abu Simbel; si tenga conto perciò che il contenuto del mio saggio è sì frutto della mia sia pur modesta conoscenza delle diverse scuole di pensiero
, ma anche della mia prudenza, e verrà perciò presentato secondo quello che è il mio punto di vista, illustrando però, ove è possibile, le diverse ideologie. Ben guardandomi dal dare un giudizio dall’alto della mia condizione di donna moderna e immersa nell’Era Tecnologica, non intendo assumere un atteggiamento di superiorità nell’interpretare i fatti e le loro ragioni, guardando ad essi con gli occhi della cultura in cui vivo, ma cercando di farlo attraverso il modo di pensare degli antichi egizi, durante quel determinato periodo storico, che era l’epoca ramesside, e servendomi del sapere sulla loro cultura e società. Attraverso questa prospettiva, credo di possedere una chiave di interpretazione e di descrizione originale e semplice, o che possa essere comunque una teoria realista ed esplicativa sul perché della costruzione dei templi di Abu Simbel e sul loro significato, nonché sulle divinità in esso adorate. Un’interpretazione che mi auguro possa stimolare nel lettore, anche e soprattutto quello non legato ad una vera e propria conoscenza Egittologia, il desiderio di visitare i templi e l’ammirazione per una simile opera d’arte. Un saggio puramente divulgativo, quindi, che non ha la pretesa e la presunzione di fare scuola, quanto quella di spiegare in modo semplice ma preciso le vicende di Abu Simbel e avvicinarvi il lettore senza tediarlo con tecnicismi destinati agli studiosi. La strada che intendo percorrere si snoda dai meandri delle vicende storiche riguardanti il periodo più conosciuto dell’età imperiale (detta anche Nuovo Regno, 1550-1070 a.C.), ossia quello ramesside (XIX dinastia), fino alla descrizione dei due templi e al loro salvataggio in età moderna, senza tralasciare, lungo il cammino, una spiegazione che mi auguro sarà immediata e gradevole, della cultura degli antichi egizi, dei loro riti, delle loro credenze e di tutto ciò che possa aiutare anche chi non ha mai letto nulla su questo argomento, a capire realisticamente il fascino di una civiltà millenaria che ancora oggi sa accendere la nostra fantasia e la nostra curiosità.
Parte 1
CONTESTO STORICO, POLITICO E SPIRITUALE
Alcune delle domande che si pone qualsiasi turista definito ‘non colto’ che visita i templi di Abu Simbel sono certamente: chi costruì questi templi? Perché laggiù? E a che scopo? Solitamente a questo punto interviene una guida che tenta di riassumere ai minimi termini e, spesso, giocando di fantasia per stimolare l’interesse di chi, spesso svogliato o assonnato, ascolta, l’epica storia di come nacque Abu Simbel. Ed è proprio il riassumere, il cercare di rendere comprensibile alla nostra mentalità una simile opera, che induce all’errore, che ci fornisce una visione distorta o troppo semplicistica degli eventi e dei significati. Allo stesso modo, moltissimi autori, presi dalla necessità di far cogliere un messaggio generale, operano una sorta di traduzione di senso
, adattando elementi della cultura egiziana antica a modelli moderni o di culture posteriori e più conosciute, creando immagini fuorvianti. È così avvenuto, per fare un esempio, con il concetto di harem egizio, per tantissimi anni considerato analogo a quello dell’harem orientale/persiano. Solo negli anni Novanta del secolo scorso si è fatto strada, a fatica, grazie allo studio della cultura egizia, il concetto per quello che rappresentava realmente ¹ . Tuttavia, nell’immaginario collettivo, una grande quantità di idee sugli antichi egizi sono rimaste le stesse dei primi decenni del 1800.
Alcune sono inoltre le pubblicazioni che, per una sorta di ingiustificata antipatia verso certi argomenti della storia egizia, rivedono
gli avvenimenti storici delle fonti a seconda del puro gusto dell’autore. Questo accade purtroppo anche con le opere che si considerano serie e rigorose; molto spesso la passione, vestita di un abito negativo, influenza anche le menti più acculturate.
In ultimo, e questo accade veramente spesso nei documentari televisivi, dove è importante esagerare o enfatizzare alcuni aspetti per provocare interesse e vendere il prodotto ad un pubblico sempre più bramoso di cose sensazionali, si travisano completamente ragioni e significati relativi all’archeologia egizia. Molto spesso, questi prodotti non tengono minimamente conto dei contesti storici, e si limitano a presentare delle opere o degli eventi estrapolandoli dal loro posto nella linea retta e insegmentabile della Storia ² .
A noi pare imprescindibile cominciare a trattare il nostro argomento, e provare a fornire alcune risposte plausibili alle domande sopra citate, a partire dagli eventi storici, perché ogni avvenimento, ogni monumento, ogni persona, è frutto di un processo storico inarrestabile.
Ramses II; cos’è un faraone
La costruzione dei templi di Abu Simbel fu ordinata da Ramses II (1279-1212 a.C.) nei primi anni del suo lunghissimo regno, e terminò presumibilmente nell’anno 24° (febbraio 1255 a.C.). Tale faraone si contende a giusto merito il primato di più grande sovrano di tutta la storia egizia, in un eterno testa a testa privo di rivalità con l’illustre predecessore Thutmosi III (XVIII dinastia), ma possiamo affermare con assoluta certezza che si guadagnerebbe il gradino più alto del podio se la gara fosse incentrata sulla quantità di monumenti eretti, o anche solo sulla personalità fuori dal comune. Comprendere chi fu questo re, che fu denominato Il Grande, e quali eventi del suo regno e di quelli precedenti segnarono il suo tempo è essenziale per arrivare a cogliere il senso del complesso di Abu Simbel, o anche solo per poterne decifrare agevolmente la struttura e la splendida decorazione.
"Se la grandezza di un sovrano si deve misurare sulla prosperità, l’equilibrio e la relativa felicità del suo Paese, in quel senso Ramses fu ‘grande’, non soltanto nel ruolo di guerriero impetuoso e costruttore instancabile", scrive Kennth Kitchen nella sua monografia incentrata su questa rilevante figura storica³. La prosperità dell’Egitto nel periodo ramesside è infatti un fattore assolutamente non trascurabile; la ricchezza del Tesoro di Stato permise non solo l’ambizioso progetto di costruzione di Abu Simbel, ma anche l’apertura di altri innumerevoli cantieri, spesso contemporanei l’uno all’altro, disegno impossibile da realizzare con fondi statali limitati⁴. Questa prosperità dell’Egitto dell’epoca si deve non soltanto ai brillanti amministratori del governo di Ramses, ma anche alle solide basi che il padre di questi, Sethi I (1298-1279 a.C.) e gli ultimi sovrani della XVIII dinastia, come Horemhab (1319-1291 a.C.), seppero creare dopo il burrascoso periodo di Amarna, del quale parleremo di seguito.
Con i giusti mezzi economici a disposizione, quindi, Ramses II poté concepire un programma di pubblica edilizia a portata di quello che era il suo ideale. Ogni faraone, infatti, usava basare il proprio regno sul modello di un predecessore, del quale sposava uno o più aspetti della politica. È molto importante sottolineare, a questo punto, come i faraoni percepissero il loro ruolo. Si è spesso detto che i re egizi erano considerati degli dèi sulla terra, e che questo dava loro potere assoluto. Questa affermazione, molto comune quando si ha la necessità, come detto in precedenza, di semplificare ai minimi termini un concetto abbastanza difficile e lontano da noi, è in effetti solo al 50% corretta. Gli antichi egizi, in realtà, consideravano sacro non l’uomo che ricopriva la carica di faraone, bensì l’ideale di questa figura, ossia l’istituzione faraonica , tanto che in Epoca Romana e Copta ⁵ , quindi sul finire della civiltà egizia antica, gli ultimi sacerdoti pagani adoravano gli dèi classici dell’Egitto e Faraone , l’istituzione stessa, senza che nessun uomo ricoprisse ormai più quella carica. Il re d’Egitto, inoltre, non è un monarca assoluto, se con questa definizione si intende un despota avente potere di vita e di morte sui sudditi. Nell’Egitto faraonico, precedente alla conquista di Alessandro e quindi detentore di tutte le sue caratteristiche peculiari non contaminate
dalla cultura ellenistica, il re deve sottostare a Maat, la Regola di giustizia universale sulla quale si basa la legittimità del suo regno, e che egli non può infrangere. Il faraone deve dire e fare Maat
, ossia agire secondo rettitudine, mantenere l’ordine cosmico, e non può quindi mobilitarsi a discapito di un suddito per semplice capriccio, se questi non merita una sanzione. Fa specchio a questa filosofia il fatto che il faraone non detiene il potere giurisdizionale, affidato invece al Tribunale, dal quale può anche, in teoria, essere giudicato, sebbene pare che circostanze simili non si siano mai verificate. Certamente, il faraone aveva la prerogativa di scegliere i suoi funzionari di governo, e fra questi il visir che sta a capo del Tribunale, ma il principio che guida le azioni di quest’ultimo è comunque sempre il rispetto di Maat, che sta al di sopra di qualsiasi cosa ⁶ . Questa uguaglianza davanti ad un concetto universale di giustizia e di ordine fa sì che il re che si macchi di azioni indegne venga immediatamente considerato come trasgressore e perda il diritto a governare. Egli, essendo uscito dal sentiero di Maat, non è più un faraone, bensì un despota, e come tale non è più meritevole del rispetto sacro dovuto all’istituzione e di conseguenza può essere rovesciato. È per questa ragione che si dice spesso che i sovrani egizi del Nuovo Regno avevano perduto parte del loro potere; questa è un’altra delle informazioni super semplificate ricorrenti, la cui vera matrice è, a nostro avviso, rintracciabile piuttosto in un aumento del desiderio di giustizia della società, e la ricerca di sovrani degni del trono, dopo le terribili esperienze delle dominazioni straniere, come quella degli Hyksos. Una monarchia, quindi, con poteri identici a quelli dell’Antico Regno, ma tenuta maggiormente sotto controllo: le azioni del faraone erano giudicate con occhio severo.
In definitiva, il re d’Egitto non può porsi al di sopra della legge di Maat, di cui è garante, e questo ci dimostra, oltre al suo ruolo fortemente religioso e sacerdotale, come la carica di faraone fosse di stampo molto più spirituale e idealista che politico e statale ⁷ . Non solo. Il concetto può anche essere definito al plurale, anziché al singolare. La parola faraone
, infatti, è una elaborazione greca dell’egiziano per-a che significa grande casa
o palazzo
; se ne deduce che il faraone non è solo l’uomo, ma tutto il palazzo coi suoi funzionari, ossia il Governo, rappresentato da un uomo che è chiamato a coordinare tutto il complesso. Se vogliamo dare un esempio che spieghi ulteriormente quello che era l’ideale dell’istituzione faraonica, basti ricordare che nella maggior parte dei titoli regali, il sovrano è indicato come il protettore del popolo, e che la parola egizia per dire Maestà è la medesima usata per dire servo . In questo modo, il faraone è servo del suo popolo, e lavora per la sua prosperità, come in un alveare. E ancora, non a caso, uno dei simboli geroglifici per titolare il re è l’ape.
Ma oltre che seguire Maat, proteggere e far prosperare il popolo, il compito del faraone era edificare l’Egitto, così che fosse la dimora degli dèi sulla terra. Ecco spiegato il perché, se oggi visitiamo l’Egitto, vediamo in larga misura templi. Qui inoltre una delle ragioni basilari per la quale Ramses II costruì Abu Simbel e tutti gli altri luoghi di culto; come tutti i suoi predecessori, e chi gli succedette, egli eseguiva ciò che era chiamato a fare. Costruire era per un faraone un dovere, non un diritto.
È indice della sacralità dell’istituzione faraonica il fatto che le statue dei re o qualsiasi scultura che ritrae un sovrano sia idealizzata secondo un modello fisso. Per moltissimo tempo si è creduto che gli artisti egizi non fossero in grado di eseguire una scultura a ritratto, come ad esempio i busti degli imperatori romani, ma questo è uno sciocco mito da sfatare. L’abilità degli scultori egizi era totalmente prestata alla tradizione e al simbolismo, a rendere il faraone continuamente uguale a se stesso, nonostante la persona che lo incarnava fosse sempre diversa. Tuttavia, ad