Sarà che siamo vivi
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Anteprima del libro
Sarà che siamo vivi - Ilaria Zoncada
Onlus
Sarà che siamo vivi
Qui a Sainte Emélie si vive così.
Qui, nel nord della Francia, piove spesso. Piove quando cinque minuti prima il sole spaccava le pietre e tu sei uscito con le scarpe di pezza. Piove quando i bambini non si sono messi le galosce, quindi, per sacrosanto volere dei genitori, non possono saltare nelle pozzanghere. Piove anche quando il raccolto dice basta, che mi stai soffocando, brutta bastarda, mi stai facendo affogare, mi stai ubriacando, ma il Dio onnipotente, qui, a Sainte Emélie, non lo ascolta, perché il mondo è troppo grigio e Lui, dal grigio del cielo carico di pioggia, si diverte a vedere gli uomini che aprono il loro arcobaleno di ombrelli, che li fanno sbocciare come si schiudono le belle di notte quando viene la notte, e li rivolgono verso i Suoi occhi, mentre coi piedi calpestano l’altra estremità del grigio, la ruvida terra, la spessa coperta della gravità. Con gli occhi bassi cercano di evitare quei piccoli specchi d’acqua, che, a essere furbi, ci si potrebbe vedere dentro il colore degli ombrelli, ci si potrebbe vedere – per una volta – quello che il Dio onnipotente vede; ma gli uomini non sono furbi, e l’onnipotente Dio si diverte. E del raccolto, se ne frega.
Qui a Sainte Emélie, nel nord della Francia, dove piove spesso, una beffarda coincidenza ha scaraventato me, e ora mi manovra come fossi la sua bambolina. Coincidenza, bambina viziata.
Sono le sei e trenta di uno squallido pomeriggio, l’ennesimo che trascorro qui, su questo balcone di un ostello senza nome. Le sei e trenta sono l’ora del mio caffè, della mia tazza. La tazza di Alisanne. Sbiadita e crepata. Le margherite sulla ceramica che ormai hanno perso gran parte del loro colore, e che se potessero perdere, a uno a uno, anche i loro petali, forse si sentirebbero meglio. Più vive. O forse solo più libere, lentamente, di morire.
Mi siedo nella stessa posizione da diversi giorni, alla stessa ora. La puzza, qui, è sempre la stessa: un aggrovigliarsi degli odori di cose successe, dei crauti nauseabondi della colazione e la polvere nella moquette, dell’amore fatto da chi è passato prima di me sullo stesso letto che adesso si beve le mie lacrime, dei miei calzini come quando ero adolescente – odore di scoperta, di libertà, di esperienze fatte per la prima volta –, odore di ricordi, odore di dimenticanza. Davanti a me, vedo un viottolo dove passano tante vite, fra le pozzanghere iridescenti, tante facce e tanti sbagli, tanti dolori e tante opportunità, tanti sogni. Tanta memoria. Loro vivono, muoio io, forse, ma magari più tardi. Per adesso resto sola, così – Alisanne a parlare con se stessa –, con i miei occhi nel vuoto e con il vuoto dentro. A parte il caffè, s’intende.
Il tradimento è quella bastonata che non ti aspettavi, scagliata con forza proprio su quell’osso dove il dolore lo senti più forte. Ha il sapore cattivo di tutte le cose che finiscono. Poi, si plasma e si trasforma in una piaga che non conosci, e che non sai come curare. Si muove alla svelta dentro le tue membra, e allora devi muoverti anche tu, per disorientarlo.
Mi sono bastate ventiquattro ore da quando mi hai confessato il tuo tradimento; ho messo i miei quattro stracci nel borsone, ho corso a perdifiato fino alla stazione più vicina.
Ho salito la scalinata, veloce, inciampando al primo, al terzo, al quinto gradino. E a tutti i gradini dispari che sono venuti dopo. Perché quelli pari conservano la perfezione e l’essenza della coppia. O forse perché li saltavo per arrivare più in fretta non so dove. Su un binario qualsiasi ho chiuso gli occhi, e l’aria mossa dal treno in arrivo mi ha suggerito che quello era la mia via di fuga, l’inizio dell’inizio. O l’inizio di una fine.
Ecco come sono arrivata qui, tra la pioggia e il vento e il dolore e i vaffanculo. Il nome di questo paese, mai sentito prima. Ma quando la voce metallica sul treno ha annunciato: Prochaine station, Sainte Emélie
, ho pensato che un paese dedicato a una santa non doveva essere tanto male. Ritenta, Alisanne, sarai più fortunata.
So esattamente dove sei, perchè lì con te, fino a qualche giorno fa, c’ero io. Ci sono stata per quattro anni, tutti i giorni senza barare, che fosse Natale, o domenica, o la vigilia del giorno del Giudizio, o quando i signori Donnolly litigarono così violentemente che il signor Donnolly decise che sua moglie,