Barche fuori CONTESTO
Aolte può capitare d’imbatterci in esemplari che ci appaiono come delle contaminazioni, delle barche che sembrano estranee al loro contesto storico o geografico. Quando le scopriamo, la prima reazione è: “ma questa, cosa c’entra? È fuori posto!” Ed invece, cercare di capire da dove saltano fuori e quali storie abbiano da raccontarci è un buon esercizio che ci aiuta a individuare i mille canali attraverso i quali la tradizione marittima si espande, si diffonde e si contamina.
Tra i primi che mi vengono in mente, accenno ad alcuni casi di barche “fuori contesto”, nell’intento di sollecitare i lettori a segnalare altre storie, altri spostamenti, altre curiosità, altre influenze.
Nel caso più semplice, si tratta della questione di un’attrezzatura non del tutto conforme, che si può manifestare in tanti modi.
Ad esempio, si può trattare di tentativi di evoluzione che sono falliti o che non hanno avuto seguito: come quella degli . Era questa una classe di gozzi da regata che fu attiva in Liguria nella Riviera di Ponente tra gli anni ‘30 e ‘50, convertendo un tipo di barca da lavoro in una da competizione, armata con un’attrezzatura Marconi e dotata di deriva mobile. Gli adriatiche. La mia reazione è stata di fastidio per quello che sembrava un falso evidente: come succede sul Canal Grande, quando le comitive di giapponesi in gita sulle gondole esigono, come accompagnamento musicale: “O sole mio”. Solo più tardi ho scoperto che quell’immagine diceva il vero e che molte famiglie di pescatori dell’Adriatico erano emigrate a Viareggio con le loro paranze. Già alla fine dell’Ottocento qualche pescatore di San Benedetto del Tronto, che era abituato a spingersi fino allo Ionio, si era avventurato nel Tirreno. Col passare degli anni la conoscenza di quel mare si era poi approfondita perché molti marinai adriatici avevano svolto il servizio militare nella Regia Marina alla Spezia. D’altra parte lo specchio di mare tra la Corsica e la Toscana è sempre stato particolarmente pescoso, tanto che i liguri facevano la loro “stagione delle acciughe” spostandosi in Capraia, mentre i marinai viareggini, che pure erano ottimi, non avevano sviluppato del tutto le potenzialità della loro zona di pesca. Così, nel 1915, quando l’Adriatico divenne zona di guerra e fu cosparso di campi minati che mandarono a fondo diversi pescherecci, ci fu l’esodo d’intere famiglie verso i porti del Tirreno. Le imbarcazioni minori furono inviate a Livorno su vagoni ferroviari mentre le paranze, cariche di masserizie e di averi di casa, fecero il periplo della Penisola per stabilirsi poi ad Anzio, Nettuno, Le Grazie e Bocca di Magra, dove fu allestita una sistemazione provvisoria, sotto tende di fortuna. Il nucleo più consistente di pescatori sanbenedettesi, tuttavia, finì per stabilirsi a Viareggio. Nell’ambiente della gente di mare le loro capacità professionali furono subito apprezzate e così gli “adriatici”, furono accettati a pieno titolo e si inserirono definitivamente nelle varie comunità locali.
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